Gianfranco Stevanin
(Montagnana, 21 ottobre 1960) è un criminale e serial killer italiano,
ritenuto colpevole dell'omicidio di 5 donne nel 1994. Il suo caso ebbe
grande risalto su molti media nazionali e sollevò un dibattito sulla
questione dell'incapacità di intendere o di volere.
Note biografiche
Gianfranco Stevanin nasce il 21 ottobre 1960 a
Montagnana, in provincia di Padova da una famiglia di proprietari
terrieri, vive i primi anni della sua vita a Terrazzo (VR). Durante
questi anni il padre di Gianfranco andrà spesso a caccia ma il figlio
rifiuterà sempre di scuoiare gli animali insieme al padre provando
ribrezzo ad uccidere. All'età di 5 anni la famiglia lo manda in un
collegio di preti, questo perché sua madre attraversa un periodo
difficile a causa di una gravidanza che infatti poi non porterà a
termine, dopo l'aborto Gianfranco può tornare a casa.
Una volta cresciuto comincia a dare una mano a suo
padre nella gestione delle proprietà di famiglia, ma un giorno scivola
nel fango e sbatte violentemente la testa contro un attrezzo agricolo.
In seguito all'incidente i genitori temono che non sia in grado di
badare a se stesso in giro per i campi e lo fanno entrare in un collegio
di suore, per preservare la sua integrità. Gli anni in collegio sono
particolarmente solitari per Gianfranco, non riesce a stringere amicizie
e vede raramente i suoi genitori. A 13 anni subisce l'abuso da parte di
una donna 24enne sposata e insoddisfatta sessualmente.
Nel 1975 Gianfranco esce dal collegio e solo un anno
dopo, il 21 novembre 1976, è vittima di un grave incidente di moto che
comporta un trauma cranico e un grave intervento chirurgico
particolarmente delicato. Questo incidente cambia la vita del ragazzo, a
causa della degenza perde tutti i suoi pochi amici e come postumi
dell'incidente ha un focolaio epilettico. Stevanin trascorre gli anni
seguenti tra vari problemi (meningiti e forti emicranie) e cambiamenti
comportamentali. Cresciuto comincia ad avere una passione per la
pornografia, al punto da fotografare le sue amiche nude o in pose oscene.
Primi reati
Tra il 1978 e il 1983 Stevanin ha diversi guai con la
legge, in un'occasione finge di essere stato rapito e chiama i genitori
per chiedere il riscatto, finge di avere una pistola in tasca e obbliga
una ragazza ad accompagnarlo ad una festa e rapina un'altra ragazza. Nel
1983 viene condannato per omicidio colposo per un incidente in cui perde
la vita una sua amica. Nel 1989 rapisce e violenta una prostituta di
Verona, Maria Luisa Mezzari, ma questo fatto non viene attribuito a lui
prima di molti anni.
Tra il 1980 e il 1985 ha la sua storia d'amore più
importante, interrotta bruscamente a causa dei genitori. In risposta a
questa delusione (e alla scoperta un po' di tempo dopo che la sua ex si
è rifatta una vita) comincia a frequentare prostitute e si appassiona a
forme di sesso estremo.
Stevanin usa come base per i suoi incontri sessuali
un casolare semiabbandonato di proprietà dei suoi genitori, in questo
luogo deposita tutta la sua attrezzatura pornografica, in particolare
oggetti per rapporti sadomaso. In questo casolare invita prostitute "abbordate"
sulle strade periferiche spacciandosi per una persona importante, e le
convince ad avere rapporti sessuali estremi e a farsi fotografare legate,
imbavagliate o incappucciate.
Omicidi
Il 15 gennaio 1994 sparisce Claudia
Pulejo, prostituta tossicodipendente di 29 anni, Stevanin la attira nel
casolare con la promessa di darle dei farmaci in cambio di "fotografie
particolari". Durante un gioco erotico lui le stringe troppo forte il
collo e la ragazza muore. Stevanin seziona il corpo in molte parti e le
fa sparire
Durante il 1994 Stevanin uccide altre donne, non meno
di 3, forse 5.
Arresto
Il 16 novembre 1994, a Vicenza, Stevanin
caricò nella sua Volvo una prostituta di nome Sigrid L., le offrì dei
soldi per avere rapporti sessuali e per poterle scattare delle foto.
Dopo alcune ore di giochi sessuali estremi la prostituta tentò la fuga
attraverso la finestra di un bagno e in seguito rifiutò di farsi
scattare altre foto e per questo venne minacciata da Stevanin con un
coltello. Per avere salva la vita, offrì a Gianfranco tutti i suoi
risparmi (circa 25 milioni di lire) se la lascerà andare, e il maniaco
accettò; il denaro però si trova a casa della Musger e quindi i due
salgono in auto per andare a prenderlo. Al casello di Vicenza Ovest
Stevanin fermò la macchina per pagare il pedaggio, in quel momento la
prostituta riuscì a scendere dalla macchina per andare verso una volante
della polizia e denunciare il suo cliente per violenza sessuale.
La polizia arrestò Gianfranco per
violenza sessuale, estorsione, e possesso di una pistola giocattolo
priva del regolare tappo rosso. In seguito a questo episodio, fu
condannato a 2 anni e sei mesi di carcere.
Indagini
Durante le perquisizioni nella casa gli
inquirenti trovano materiale pornografico (tra cui oltre 7000 fotografie
scattate personalmente da Gianfranco alle sue partner), libri di
anatomia, scatole contenti peli pubici e uno schedario contenente le
informazioni su tutte le sue partner.
Tuttavia la polizia considera Stevanin
solo un maniaco accusato di violenza e tentativo di estorsione, gli
inquirenti cominciano a sospettare crimini più gravi dopo il
ritrovamento di oggetti appartenenti ad una donna di nome Biljana
Pavlovic, di cui non si hanno notizie dall'agosto 1994 e di Claudia
Pulejo.
Le due ragazze sono citate anche negli schedari di
Stevanin. Gianfranco si giustifica dicendo di aver avuto con loro delle
normali brevi relazioni e che i vestiti sono solo un pegno d'amore che
le ragazze gli hanno lasciato.
Il 3 luglio 1995 un agricoltore di Terrazzo trovò in
un terreno vicino alla casa di Stevanin un sacco contenente i resti di
un cadavere, Stevanin venne sospettato di omicidio e il magistrato inviò
delle ruspe per cercare altri corpi.
Il 12 novembre 1995 venne ritrovato il corpo di
un'altra donna, anche stavolta il corpo è stato avvolto in un sacco, ma
in questa occasione il ritrovamento avviene in un terreno di proprietà
di Stevanin e il test del DNA dimostrerà inequivocabilmente che il corpo
appartiene a Biljana Pavlovic.
Il 1 dicembre 1995 venne ritrovato il terzo corpo,
quello di Claudia Pulejo.
Stevanin viene interrogato dagli
inquirenti ma il suo atteggiamente è controverso, a tratti sembra
ricordare qualcosa per poi smentirla subito dopo e afferma di avere dei
vuoti di memoria. A Stevanin vengono attribuiti anche gli omicidi di una
prostituta austraica di nome Roswita Adlassnig, presente nelle foto di
Stevanin e nel suo schedario e di cui non si hanno notizie da mesi e di
un'altra donna mai identificata, fotografata impegnata in un atto
sessuale apparentemente priva di vita.
Il 24 settembre 1996 (dopo la parziale
confessione di Stevanin) viene ritrovato nell'Adige un altro cadavere
non identificato, anche questo viene attribuito a Stevanin. Poi dopo
esame del DNA il cadavere verrà riconosciuta in Blazenca Smolijo.
Confessione
Il 19 luglio 1996 Stevanin decise di
confessare e affermò di aver smembrato i cadaveri di quattro donne, me
che l'omicidio delle ragazze non era premeditato, queste infatti
sarebbero morte durante rapporti sessuali estremi o, nel caso della
Pulejo, per overdose di eroina.
Riguardo al cadavere non identificato
afferma che si trattava di una studentessa di cui non ricorda né nome né
volto, dice di averla incontrata solo tre o quattro volte. Stevanin
racconta le sue confessioni affermando che agiva come se non sapesse
cosa stava facendo, come se si trattasse di sogni.
Processo
Dopo diverse sedute per una perizia
psichiatrica Stevanin viene dichiarato processabile e capace di
intendere e di volere, gli esperti affermano che Stevanin è mentalmente
capace, intelligente (QI 114) e un abile calcolatore.
I periti della difesa cercano di contestare la
perizia psichiatrica, affermando che tutti i disturbi di Gianfranco
Stevanin sono da ricondurre all'incidente di moto che quasi gli costò la
vita.
Stevanin si presenta alle sedute con
la testa rasata, per mostrare bene l'evidente cicatrice che secondo la
difesa è alla base di tutto. La prima sentenza, il 28 gennaio 1998,
condanna Gianfranco Stevanin all’ergastolo, di cui tre anni in totale
isolamento diurno.
Nel gennaio 1999, Stevanin vendette la
casa e tutti i terreni di proprietà per risarcire parzialmente le
famiglie delle vittime.
In seguito la Corte d’Assise assolve l’imputato
dall'accusa di omicidio perché incapace di intendere e di volere, e lo
condanna a 10 anni e sei mesi per occultamento e villipendio di cadavere.
Nel dicembre del 2000, mentre si trovava
rinchiuso nel manicomio giudiziario, venne gravemente ferito al collo da
un colpo di lametta infertogli da un altro detenuto extracomunitario.
La sentenza definitiva arrivò il 23
marzo 2001, la Corte d’Appello di Venezia dichiarò che Gianfranco
Stevanin è in grado di intendere e di volere, motivo per cui venne
automaticamente confermata la condanna all’ergastolo. Anche la Corte di
Cassazione confermò l'ergastolo, respingendo le istanze della difesa.
Tuttora è rinchiuso nel carcere di Sulmona in Abruzzo dove ha salvato la
vita del suo compagno di cella che ha tentato di suicidarsi per due
volte.
Capi d'Imputazione
occultamento di cadavere
violenza sessuale a Maria Luisa Mezzari
violenza sessuale e sequestro di persona a Gabriele
Musger
ergastolo per l'omicidio di Biljana Pavlovic
ergastolo per l'omicidio di Claudia Pulejo
ergastolo per l'omicidio di Blazenca Smolijo
ergastolo per l'omicidio di una ragazza sconosciuta
ergastolo per l'omicidio di una ragazza sconosciuta,
imputazione in seguito a foto postmortem ritratte da Stevanin.
3 anni di isolamento diurno
150 milioni di lire per ogni famiglia di ogni
vittima riconosciuta.
Inoltre è attrbuito a Stevanin l'omicidio di Roswita
Adlassing, vista per l'ultima volta con Stevanin, ma il cadavere non è
mai stato ritrovato.
Wikipedia.org
Gianfranco Stevanin, sesso e morte
L'abitazione era in quel casolare vicino
alla riva dell'Adige, con le immagini di santi e di madonne alle pareti.
Gianfranco Stevanin, più che fare l'agricoltore a Terrazzo, paesino
della Bassa veronese, preparava trappole alle donne. Aveva infatti
trasformato il suo casolare in una sorta di "club privé personale"
a luci rosse, con videocassette, riviste porno, vibratori, mutandine di
pizzo e reggicalze, borchie e tutine di cuoio, cinghie e palline di
varie dimensioni. Adocchiava preferibilmente ragazze di vita ai margini
delle strade di grande transito e le incantava, spacciandosi ora per
produttore tv, ora per agente alla ricerca di top model, ora per
fotografo, ora per campione di moto o pilota d'aereo. Capelli corti, bel
ragazzone di poco oltre la trentina, era riuscito a collezionare ben
7000 foto che lo ritraevano mentre faceva l'amore. A volte si faceva
immortalare mentre gli prendevano le misure: trentadue centimetri, come
John Holmes, divo porno, suo grande idolo.
Aveva però un viziaccio maledetto il bel Gianfranco:
non era amore se non osava l'inosabile, legando mani, mettendo cappucci,
imbavagliando, spesso con contorno di stupefacenti e sesso estremo. E se
qualcuna ci restava secca, pace all'anima sua: da alcova il casolare
diventava obitorio per sezionare e il campo intorno diventava cimitero
per seppellire. Eppure non c'era storia che non decollasse tra sorrisi,
brindisi, pranzetti, progettazione di viaggi. Riusciva persino simpatico
Stevanin, tant'è vero che le ragazze non sospettavano nulla sino a
quando non riapparivano in circolazione. Qualche mamma si rivolgeva a
Chi l'ha visto?, la popolare trasmissione tv della Rai. Qualcun'altra
sporgeva denuncia, mostrando sorpresa e amarezza per il modo in cui
s'era volatilizzata. Bramoso di nuove conquiste, chissà quanti altri
chilometri Stevanin avrebbe consumato tra Verona, il Lago di Garda e le
località balneari venete se una sera non fosse capitolato all'uscita
dal casello di Vicenza Ovest: la sua ultima fiamma, dopo essere stata
nel casolare, aveva capito sin dai preliminari cosa nascondessero tante
premure. Approfittò perciò che Stevanin fosse impegnato nel pagare il
pedaggio, per aprire di botto lo sportello dell'auto, lanciarsi fuori ed
avvertire una pattuglia della Polstrada. A questo punto per i magistrati
ricostruire la "carriera" del serial killer della Bassa
diventò quasi un gioco da ragazzi, anche perché le confessioni
dell'arrestato sembrarono un fiume in piena. Raccontò di una, di due,
di tre...Tra gli inquirenti, già all'inizio, c'era chi si diceva
convinto che le ammazzate potevano essere state anche sei. E lui parlava,
parlava, con atteggiamenti tra l'indifferenza e la smemoratezza. Ecco
qualche stralcio di verbale.
"Mi piaceva quella ragazza. Una straniera, credo
fosse una prostituta. L'avevo conosciuta a Verona. Una sera le proposi
di venire da me, lei disse di sì, la portai al casolare. Era il 1993,
non ricordo il mese. Ricordo che durante il rapporto le tenevo un
braccio stretto al collo. Ogni tanto la stringevo. E' stato solo quando
abbiamo finito che mi sono accorto che lei non si muoveva più. Era
morta".
E ancora, parlando di un'altra: "Non so neppure
dire chi fosse e che nome avesse. Ricordo solo che non la portai al
casolare, ma nella casa nuova. Mi pare fosse autunno. Facemmo l'amore
piegati su un fianco, io le misi le mani intorno al collo e lei morì.
La portai al casolare, lasciai lì il corpo un paio di giorni, poi presi
un taglierino da balsa, tagliai prima una gamba in due pezzi, poi
l'altra, quindi le braccia. Le ho tagliato anche la testa, l'ho rasata e
non ricordo se ho fatto dei pezzi anche del tronco. Ho lavorato diverse
notti...".
E di una terza: "Già altre volte avevamo fatto
insieme "bondage", sesso estremo. E quella sera al casolare,
decidemmo di provare qualcosa di diverso. La feci spogliare, le legai le
mani dietro la schiena, la feci sdraiare a faccia in giù e tirai la
corda dalle mani fino intorno al collo. Quindi le infilai un sacchetto
di nylon sulla testa, per provare un piacere più intenso. Ma una volta
finito di fare l'amore, mi accorsi che era morta. Presi il cadavere, lo
piegai in due, lo avvolsi in un telo cerato color azzurro, lo portai
nell'orto e lo lasciai poco lontano, dentro un avallamento. Poi lo
ricoprii di terra con il badile, bruciai gli abiti e la borsetta".
Eppure tutti dicevano: beato la donna che lo sposerà.
Sembrava cresciuto bene, timorato di Dio. Ma che poteva saperne la gente
dell'inferno che c'era nella sua testa? A 4 anni, figlio unico, lo
misero in collegio, dai preti. Tornò a casa all'età di 14 anni "per
ritrovare con papà più un rapporto tra amici che tra padre e figlio".
Con mamma invece erano liti: "Era peggio di uno 007. Impossibile
depistarla. E io avevo i miei segreti: le pornoriviste, le prime foto in
bianco e nero che scattavo alle amichette nude". A 17 anni, la
prima fiamma. Si chiamava Donatella, "era vergine, niente sesso".
Sino ai 19 anni, piccole perversioni, l'ossessione di fare indossare
mutandine acquistate al mercato. A vent'anni arrivò l'amore "con
la A maiuscola". Si chiamava Amelia, materna ma anche scatenata nel
sesso: "Eravamo al ritmo di tre rapporti al dì". Si
piantarono dopo cinque anni: "Finì per colpa dei miei genitori,
Forse per iperprotettività, intervenivano sempre":
I periti dissero che, dopo Amelia, "la donna non
è stata più vissuta da Stevanin come buona, ma come cattiva",
"le donne sono diventate solo dei buchi da riempire". Ad Ada,
per ripicca, portò via il passaporto, un orologio, un collier e vari
indumenti intimi. A Grazia diede subito l'etichetta di "parecchio
stupida e troppo possessiva". A Loredana, divorziata con figlia,
rimproverò che "non mi accettava come padre". Si allargava
così la forbice tra normalità e perversione. E da solitario vitellone
di provincia, Gianfranco Stevanin si trasformò gradualmente in
professore honoris causa del sesso estremo, sino a seviziare, operare
chirurgicamente con lo stesso zelo di un dottor Mengele, strangolare,
uccidere, godere del suo stesso sadismo: "Di ragazze ne ho rasate
parecchie. Tenevo i peli pubici ed i capelli perché pensavo di farmi
l'imbottitura di un cuscino". E intanto all'esterno si mostrava
elegantone. Per far colpo sugli amici a volte raccontava: "Il sesso
per me è un'arte. Un rapporto come dico io dura per delle ore. Se
inizia alle ventidue non finisce prima delle due. Posso avere tre
eiaculazioni in un'ora..." E si vantava di avere avuto amplessi
anche sui prati, in auto, sui tavolacci, sugli argini dei fiumi...Matto
da legare? "No, no - diceva qualche perito - è la persona meno
matta che mi sia capitata davanti. Gran narciso, persino intelligente,
abilissimo nel presentarsi come vittima e carnefice". Le sue stesse
amnesie sugli omicidi erano a volte autentiche simulazioni finché gli
inquirenti non lo mettevano davanti a delle prove.
Qualche cronista scomodò per Stevanin anche
l'appellativo di "Landru della Bassa". Ricordate? Henri
Désiré Landru arrivò a uccidere sino a 11 fidanzate e durante il
processo a Parigi risultò che era entrato in contatto con almeno 230
donne, tra le quali aveva selezionato le sue vittime: le faceva sparire
in una stufa di un villino di campagna, dopo averle sedotte. Però non
confessò mai. Anzi, qualcuna delle "sopravvissute" lo difese
a spada tratta. Il 22 febbraio 1922, prima di consegnare la testa alla
carnefice, chiese e ottenne che gli venisse tagliata la barba: "Così
alle donne piacerò di più".
In scala maggiore o minore, il disgustoso fascino del
male potrebbe davvero aver dato a ogni epoca i suoi Landru. Quando il 4
dicembre 1997, proprio all'inizio delle fasi processuali, in Corte
d'Assise chiesero a Stevanin: "Cos'ha da dire sui delitti che le
vengono contestati?", lui rispose: "Durante gli interrogatori
mi sono lasciato andare alla fantasia, alle deduzioni per compiacere chi
m'interrogava. Ora mi sono raffiorati". E appena si trattò di
approfondire cosa avesse fatto alla prima delle vittime, raccontò che
era morta per overdose. E il sacchetto di plastica sul capo? "Lasciai
il cadavere al casolare, non sapevo cosa fare, avevo una gran confusione.
Quando tornai vidi che i topi avevano morsicato il volto. Le misi un
sacchetto sulla testa, avvolsi il corpo nel domopak, scavai una buca e
la seppellii". Il tutto "per affetto, perché il suo corpo si
conservasse, era una cara amica".
Gianfranco Stevanin
La Casa degli Orrori
Le case degli orrori sono due. La prima è una
villetta isolata nei campi con i muri azzurro carta da zucchero (o
divisa da aviatore, se preferite). La seconda è un casolare di campagna,
con la facciata color rosellina. Colori tenui, ma incongruenti rispetto
alla tradizione della zona. E difatti questa stonatura le fa
immediatamente saltare agli occhi se ci si passa nei pressi. La cascina
che si trova in via Brazzetto, dove sono stati dissotterrati i cadaveri
di Claudia Pulejo e Biljana Pavlovic, desolata e desolante nel suo
abbandono, imbruttita da tapparelle verdi che hanno sostituto le vecchie
imposte e da una porta a vetri che ha preso il posto dei vecchi battenti
in legno, e la pretenziosa villetta con tanti alberi non autoctoni nel
giardino sembrano il simbolo del tribolato passaggio dall'antica e
immobile civiltà contadina a un benessere troppo rapido, pagato con la
perdita delle radici.
E' all'interno di queste case che Gianfranco Stevanin
metteva in atto i propri stupri e uccideva (volontariamente secondo il
pubblico ministero Maria Grazia Omboni, involontariamente stando ai suoi
confusi racconti) le proprie giovani vittime. E poi ne sezionava i
cadaveri, asportandone parti o smembrandoli completamente. E' in via
Torrano che Stevanin stupra la Musger e racconta di essersi trovata
morta tra le braccia la prima vittima, una prostituta slava conosciuta
nel 1993, cui dovrebbe (il condizionale è ancora d'obbligo) appartenere
il tronco privo di arti e testa recuperato nel luglio dell'anno scorso
in via Pegorare. e' in via Brazzetto che muoiono invece la Pulejo e la
Pavlovic, sotterrate dopo essere state impacchettate come mummie (la
plastica è un altro elemento ricorrente, come il taglierino e la
rasatura di peli e capelli, in questi delitti), e viene letteralmente
fatta sparire la "studentessa".
Ma cosa c'era nelle due case? In via Torrano, al
momento dell'arresto nel novembre 1994, la polizia sequestra due pistole
giocattolo (una era servita per minacciare la prostituta austriaca
violentata) e un taglierino. Prende nota del tavolo con le cinghie
attaccate alla gambe. Si porta via l'ultimo rullino scatta alla Musger,
che documentava gli atti sessuali compiuti. E poi sequestra circa 150
contenitori di foto, con 36 fotografie ciascuno, per un totale di oltre
cinquemila pose tra hard core e soft core, alcuni rullini con negativi
sviluppati e foto ancora da stampare, decine di videocassette porno, un
vero e proprio campionario di vibratori di ogni tipo e foggia, una
capigliatura bionda, i contenitori dei peli pubici, indumenti intimi e
capi d'abbigliamento femminili, borsette di donne e i documenti di
cinque ragazze, due delle quali sparite senza lasciare traccia: Claudia
Pulejo e Biljana Pavlovic. Nel casolare di via Brazzetto, invece,
scoperto solo dopo cinque giorni, furono rinvenuti giornali pornografici,
lettere ad amanti e fidanzate, santini e immagini di santi e le famose
schede sulle prestazioni di alcune donne: tra queste quelle di Claudia
Pulejo e Roswita Adleasnic. Sono i capelli e i peli pubici a colpire in
particolare i poliziotti: ai periti Stevanin confesserà che voleva
utilizzarli come imbottitura di un cuscino, una specie di guanciale su
cui posare il capo e sfogare le proprie fantasie erotiche. Tutte legate
al ricordo degli orrori inferti alle sue vittime.
Fu sequestrato tutto? Gli inquirenti sono convinti di
no. La pista non fu battuta inizialmente finché era ancora calda. Colpa
del conflitto di competenza tra la questura di Vicenza, che aveva
effettuato l'arresto il mercoledì, e quella di Verona, che si vide
passare le consegne a fine settimana. Andarono persi giorni preziosi,
nel corso dei quali eventuali complici avrebbero potuto far sparire
prove compromettenti, soprattutto in via Brazzetto, dove il materiale fu
trovato in gran disordine. Inoltre successivamente passarono quasi otto
mesi prima che venisse trovato il primo mezzo cadavere e le indagini
ritrovassero spinta con l'intervento dei carabinieri. In questo lasso di
tempo, è convinzione degli inquirenti, anche la madre di Stevanin
potrebbe aver soppresso delle prove non individuate al primo colpo.
Anche questi fanno parte dei molti misteri ancora da chiarire sulle due
case degli orrori. E se, non molto lontano, ce ne fosse una terza
assolutamente insospettabile?
CRONISTORIA vista da Giancarlo Beltrame
Questa è la storia di un’ossessione. Nata da altre
ossessioni. Quelle maniacali di Gianfranco Stevanin, il possidente
agricolo della Bassa Veronese che è stato ribattezzato il "mostro
di Terrazzo" dopo che nei suoi terreni e in un fossato a poche
centinaia di metri da casa sua sono stati rinvenuti due cadaveri e mezzo.
Un’ossessione che ha contagiato tutti coloro che in qualche modo hanno
avuto a che fare con questa faccenda per la quale la parola
"fine" è ancora lontana. "La nostra ossessione" la
definisco quando, incrociandola nei corridoi del Palazzo di giustizia di
Verona, provo a chiedere informazioni a Maria Grazia Omboni, il
sostituto procuratore che da un anno e tre mesi sta cercando di trovare
le prove per inchiodare Stevanin alle sue responsabilità (a proposito,
alla richiesta non ho mai avuto risposta negli ultimi mesi, perché il
magistrato non apre più bocca da quando si è accorta che Stevanin in
carcere studiava attentamente tutte le indiscrezioni pubblicate sui
giornali per poter meglio impostare la propria linea difensiva). Un’ossessione
che ormai si è impossessata di carabinieri e periti psichiatri, di
medici legali e fotografi, di giornalisti e avvocati. Di tutti coloro,
insomma, che per motivi professionali sono entrati in contatto con
questo caso criminologico che è certamente il più
"intrigante" degli ultimi anni. Ma non solo. Lo è diventata
ormai anche di migliaia di lettori, che fanno alzare le vendite del
giornale locale L’Arena non appena fuori dalle edicole compare una
locandina con gli ultimi sviluppi della vicenda. E discutono. E ti
chiedono spiegazioni. Non c’è cena tra amici o semplici conoscenti
oppure con colleghi in trasferta in cui ormai non mi trovi costretto a
"rallegrare" i commensali con i dettagli più macabri o più
piccanti di cui sono venuto a conoscenza, incalzato da domande talora
morbose. E l’ossessione è tale che nessuno perde l’appetito
sentendo parlare, tra un primo e un dessert, di fist fucking o di
cadaveri sezionati in dieci pezzi con un taglierino o di una testa
segata con un segaccio da meli.
Tutti ci poniamo di fondo un’unica domanda:
"Chi è veramente Gianfranco Stevanin"? Il più feroce dei
serial killer comparsi negli ultimi anni, capace di smembrare in non si
quanti pezzi i cadaveri delle sue vittime? Un maniaco sessuale che nella
ricerca esasperata del piacere è diventato un omicida involontario? Un
folle che godeva solo se durante il rapporto sessuale sentiva le partner
contorcersi negli spasimi agonici mentre le strangolava? Un uomo malato
alle prese con un’altra identità, quasi un emulo di Jekill e Hyde,
che sta cercando faticosamente di far emergere i frammenti di memoria,
le schegge di follia che hanno attraversato la sua vita e di cui nega l’esistenza,
come sostengono i suoi avvocati Daniele Accebbi, Cesare Dal Maso e Lino
Roetta? Un minorato mentale, un "tontolone fanfarone" come lo
credevano molti conoscenti e compaesani, che nemmeno si rende conto di
quello che ha combinato? O una mente diabolica, che cede solo di fronte
alle prove inoppugnabili che gli pongono di fronte i carabinieri e il
pubblico ministero, ma non ammette nulla di più di quanto gli
inquirenti già sanno e ciò che "confessa" lo dice in modo da
confondere ancor più le acque? Oppure un narcisista megalomane convinto
di essere più scaltro di giudici, avvocati, inquirenti, giornalisti e
psichiatri messi insieme, che mena la danza delle rivelazioni come
ritiene gli sia più utile? O ancora, il membro di una banda criminale
dedita a pratiche sadomaso e alla produzione di orribili filmati in cui
vengono riprese gli spasmi di giovani vittime agonizzanti?
Una cosa è certa, Stevanin ormai è dentro di noi. E’
il lato oscuro della nostra ricca provincia, che sotto la placida e
talora paciosa immagine superficiale nasconde inquietanti tensioni, che
di tanto in tanto magmaticamente esplodono portando a galla orrori
inenarrabili.
Ma vediamo il diario di questa ossessione.
16 novembre 1994. E’ sera. La giornata nella
redazione provincia si sta chiudendo tranquilla. Le pagine sono già
composte in video. Fuori è buio. Squilla il telefono. E’ il collega
Ivano Tolettini del Giornale di Vicenza, con cui c’è una sinergia.
"C’è uno delle tue parti che ha violentato per sette ore una
puttana austriaca. Ne ha combinate di tutti i colori. Si chiama Stevanin.
Gianfranco Stevanin". La notizia c’è, ma è ancora incompleta. E’
tardi. Decidiamo con il caposervizio di approfondirla l’indomani,
anche per motivi di spazio. Piuttosto di bruciarla in poche righe, la
rinviamo. Anche Vicenza fa lo stesso. Il mio lavoro è quello che si
definisce "di cucina": organizzazione dei servizi dei
collaboratori, dei corrispondenti e dei fotografi, scelta degli
argomenti da mettere in pagina, gerarchia delle notizie, disegno dei
menabò, titolazione, ecc. Mobilito la collega Alessandra Vaccari, nell’ufficio
di corrispondenza di Legnago, perché il mattino successivo si rechi a
Terrazzo a raccogliere notizie e commenti con il fotografo Giorgio
Marchiori. Da questo momento per mesi nasce un lavoro di squadra, lei è
la vedetta che va in avanscoperta sul posto, raccoglie le informazioni e
scrive, io sono quello che dalle retrovie in redazione tira le fila,
vaglia, suggerisce, rifinisce. Dal momento del ritrovamento del cadavere
di Claudia Pulejo anch’io comincio a occuparmene in prima persona,
seguendo le tracce dell’inchiesta nel Palazzo di giustizia.
17 novembre 1994. Mentre Vaccari è a Terrazzo, arriva
una nuova chiamata di Tolettini, che ha raccolto nuovi dettagli.
"Guarda che la polizia in casa di Stevanin ha trovato di tutto.
Foto porno, filmini, vibratori, roba sadomaso... Perfino un sacchetto
pieno colmo di peli di f...". Una collezione da "re dei
feticisti" con una particolare passione per la tricofilia. Nel
paesino della Bassa nessuno sa niente. Nella casa di via Torrano, dove
è avvenuta la prolungata violenza alla prostituta austriaca Gabriele
Musger, che fuggendo dall’auto al casello autostradale di Vicenza
Ovest ha fatto arrestare Stevanin, c’è solo una zia. La madre di
Gianfranco, Noemi Miola, è all’ospedale di Borgo Trento dove assiste
il marito Giuseppe, morente per un tumore. Per intanto il futuro "mostro"
è soltanto uno che "sequestra, sevizia e stupra", come
titoliamo a tutta pagina. Ma cogliamo qualcosa di inquietante in tutta
la vicenda.
18 novembre 1994. Interpello un amico psicologo,
Franco Baldini, psicoterapeuta con vasta esperienza nel campo dei
problemi sessuali e gli spiego la vicenda. "E’ un caso da manuale
delle deviazioni sessuali", è il suo primo commento. Ci
soffermiamo sulla raccolta di foto e sulla collezione di peli pubici.
"Le fotografie erano probabilmente per lui la documentazione certa
e provata che la fantasia era diventata realtà. Mentre la raccolta di
peli appartiene a una tradizione culturale molto maschilista, assai
diffusa nella Bassa Veronese, della "lista delle vittime".
Quei peli erano per lui trofei, gli scalpi del cacciatore di indiani o
le tacche sulla Colt del pistolero da film western. Una conferma di sé.
Un dirsi ‘quanto sono macho, quanto sono bravo. E non è fantasia,
perché ho qui le prove’", è l’analisi di Baldini, che vista a
posteriori ha una straordinaria intuizione.
19 novembre 1994. All’ospedale muore il padre di
Gianfranco. E’ la madre che gli porta la notizia in carcere. Intanto
trapela che tra gli oggetti sequestrati nel bazar dell’eros di
Stevanin vi sono anche i documenti di alcune giovani donne scomparse da
tempo. Una è una giovane cameriera slava, Biljana Pavlovic, 25 anni, l’altra
e la tossicodipendente Claudia Pulejo, 29 anni, di Legnago, la cui
sparizione è stata denunciata dalla madre Alessandra Giulietti a
gennaio. Ma i carabinieri di Legnago non l’avevano presa molto sul
serio quando era andata a dire loro che "Chicca", come
chiamava la figlia, la sera del 15 gennaio, quando se ne erano perse le
tracce, aveva un appuntamento con Gianfranco Stevanin. Già altre volte
la Pulejo si era assentata a lungo senza dar notizie. Un anno dopo i
cadaveri delle due giovani saranno dissepolti dai terreni di Stevanin.
20 novembre 1994. Mi reco a Vicenza per tentare di
intervistare Gabriele Musger, vittima dell'aggressione. Nell’hotel
Italia mi trovo di fronte una bella ragazza, giovane e fragile. E’
alta, esile, indossa una larga camicia a piccoli scacchi azzurri e neri
sopra una maglietta bianca e i fuseaux neri. Una grande cascata di
capelli biondi leggermente arricciati la fa assomigliare in maniera
impressionante e inquietante a Claudia Pulejo. E’ terrorizzata e non
vuole parlare.
21 novembre 1994. Mentre nella chiesa parrocchiale di
Terrazzo si celebra il rito funebre per Giuseppe Stevanin, Vaccari
scopre la seconda "casa degli orrori". E’ un casolare
abbandonato a pochi metri dall’argine dell’Adige. Ci va solo un
pastore che ha affittato la stalla per ricoverarvi la sera il gregge. La
porta è aperta. Entra e vede altro materiale sfuggito alle
perquisizioni della polizia, bloccata dal passaggio burocratico degli
atti da Vicenza dove è avvenuto l’arresto a Verona nel cui territorio
è avvenuto lo stupro e ha quindi la competenza del caso giudiziario. Le
due questure ignorano ancora l’esistenza di questa casa. Vi sono in un
gran disordine lettere a fidanzate e compagne di giochi erotici, schede
di ragazze con indicate misure e prestazioni, tra cui quella di Claudia
Pulejo, riviste porno mescolate a santini di Padre Pio e a biglietti del
pellegrinaggio a Lourdes. Sulla scheda di Chicca è riportata una
condizione: "Avrò pure il diritto di scegliere le persone con le
quali avrò poi rapporti corporali; di qualsiasi tipo siano i rapporti
previsti dal servizio fotografico, visto che in genere, ci dovrò come
minimo fare l’amore assieme, o no? In ogni caso niente servizi
sadomaso". Un triste presentimento per chi è poi probabilmente
rimasta vittima di una rapporto sadomasochistico con Stevanin. Solo a
sera comunque arrivano gli agenti e prelevano tutto. Sono passati cinque
giorni dall’arresto. Se Stevanin aveva dei complici hanno avuto tutto
il tempo per far sparire il materiale più compromettente. Diventano
sempre più inquietanti i risvolti della vicenda, che inizialmente
sembrava solo uno stupro ai danni di una prostituta. In un articolo mi
chiedo: "La terra di Ludwig, la coppia di giovani bene che
sterminava frati, gay, drogati e frequentatori di locali a luci rosse,
di Pietro Maso che soldi ha massacrato i genitori e dei ragazzi che
lanciando per noia sassi da un cavalcavia dell’autostrada hanno
ammazzato una ventenne partorisce un altro orrore?"
22-27 novembre 1994. Le indagini ormai definitivamente
passate in mano alla questura di Verona e al sostituto procuratore
Angela Barbaglio sembrano arenarsi. La madre della Pulejo riconosce in
una serie di foto di nudi la figlia Claudia, ma il confronto di un
ciuffo di capelli di Chicca con la capigliatura bionda sequestrata nel
museo delle proprie imprese erotiche che Stevanin aveva eretto in via
Torrano esclude che siano della stessa persona. Solo quando a un anno di
distanza saranno scoperti i cadaveri si vedrà che Stevanin aveva un
macabro rito tutto suo: prima di seppellirle, di farle a pezzi o di
gettarle nei fiumi della zona depilava il pube e rapava a zero le donne
che gli morivano tra le braccia. Dal passato dello stupratore emergono
problemi psichiatrici, conseguenza di un grave incidente stradale dal
quale si è salvato solo con un intervento di ricostruzione della
calotta cranica. Nel frattempo viene trasferito in carcere a Verona. Ma
gli amici tossicodipendenti di Chicca lanciano un messaggio: "Cercate
nel letamaio di via Brazzetto, Claudia è sepolta lì". Il 1
dicembre dell’anno successivo le ruspe dei carabinieri la troveranno a
pochi metri dal posto indicato.
30 novembre 1994. Stevanin continua a proclamarsi
innocente per bocca dei suoi avvocati difensori e rifiuta di rispondere
alle domande del magistrato. La polizia diffonde le fotografie di una
coppia ritratta in un gioco erotico di gruppo con Stevanin. Mesi dopo si
scoprirà che si tratta di due coniugi di Arezzo, patiti dello scambio
di partner.
1-31 dicembre 1994. Le indagini sono a un punto morto.
I nuovi controlli della polizia scientifica sulle auto di Stevanin, una
Volvo 740 nera con una grande pantera dipinta sul cofano, e una Lancia
Dedra, non partano a nulla. Solamente la costante attenzione dei due
giornali locali, "L’Arena" e "La Cronaca", e della
trasmissione televisiva "Chi l’ha visto?", un cui regista,
Gianni Lepre, "contagiato" dalla giornalista Fausta Mannarino,
si fa prendere anche lui dall’ossessione e "s’innamora"
del caso, tengono desta l’attenzione su quello che magistrato e
polizia stanno trattando come un banale episodio di violenza carnale da
parte di un maniaco del sesso.
1 enero - 28 febrero 1995. I giudici che si
occupano dell’iter giudiziario della violenza carnale lasciano
Stevanin in custodia cautelare in carcere. Una scelta che in seguito si
rivelerà provvidenziale, perché in questo modo non avrà la
possibilità di far sparire le tracce di alcuni dei suoi delitti come
aveva già fatto in precedenza con altri. Il 15 gennaio "L’Arena"
prepara un servizio per ricordare la scomparsa di Claudia Pulejo un anno
prima.
1 marzo 1995. Il pubblico ministero Angela Barbaglio
chiede il rinvio a giudizio per Stevanin. L’accusa parla solo di
violenza carnale. Vengono escluse le altre imputazioni di tentata
estorsione e sequestro di persona ai danni di Gabriele Musger.
20 marzo 1995. Stevanin paga 20 milioni alla Musger,
la prostituta austriaca che aveva seviziato e violentato ripetutamente,
dopo averla minacciata con una pistola giocattolo e un temperino, per
poter ottenere il rito abbreviato e uno sconto di pena.
19 junio 1995. Il giudice delle indagini preliminari
Sandro Sperandio condanna Stevanin a tre anni di reclusione per stupro.
Il giorno prima gli avvocati difensori hanno chiesto per l’ennesima
volta la scarcerazione del loro assistito. Nel dare la notizia della
sentenza scrivo un articolo ricordando "Il mistero delle due
sparite". "Dove sono finite Claudia Pulejo e Biljana Pavlovic?",
mi chiedo ricordando che i loro documenti sono stati trovati nella casa
di via Torrano. E’ l’ossessione che ritorna. Nessuno sa ancora che
sono morte uccise da Stevanin e i loro corpi si trovano sepolti nei
campi di via Brazzetto. Tutto dovrebbe essere finito con la condanna
nell’udienza preliminare, eppure il dubbio sulla loro sparizione
continua a ronzarmi in testa. E non solo il solo ad avere dei sospetti.
1 julio 1995. Viene depositata la sentenza. Vi è
riportata la deposizione di Gabriele Musger, che racconta cosa è
successo nella casa degli orrori di via Torrano, una villetta azzurro
carta da zucchero, isolata nella campagna, lontana dall’unica strada
che passa nella zona. "Puntandomi una pistola e un temperino mi ha
fatto spogliare e indossare una tuta di donna scollata e di colore
azzurro", inizia il racconto delle costrizioni subite. E’ la
stessa tuta che in alcune fotografie appare indossata da Claudia Pulejo.
Ancora un feticcio, uno dei tanti, del "mostro" dall’aspetto
innocuo e gentile. "Poi mi ha fatto nuovamente spogliare e lui
tenendosi addosso i pantaloni mi ha fatto sedere sulle ginocchia in sala
da pranzo e utilizzando l’autoscatto ha effettuato una fotografia",
riprende il racconto della prostituta violentata. "Poi mi ha
obbligata a prendere il suo pene, scattando nella circostanza un’altra
fotografia. Quindi mi ha fatto chinare di schiena sul divano della sala
e dopo essersi infilato il preservativo mi ha penetrata, ma Stevanin non
ha raggiunto l’orgasmo. Allora mi ha chiesto di farmi fotografare
nuda, legata al tavolo, di schiena, china, con gli occhi bendati e una
fascia in bocca. Io a quel punto mi sono rifiutata". Un rifiuto che
le salva la vita. Perché le evita di diventare un "giocattolo"
nelle mani del "mostro". Se non è legata e imbavagliata non
può torturarla con giochi sadici, né infilarle in testa e soffocarla,
né strangolarla senza che lei opponga resistenza.
Dopo la richiesta di 25 milioni per lasciarla andare e
un nuovo discorso su un presunto"capo" che dovrebbe arrivare
da un momento all’altro, La Musger riesce ad andare in bagno con una
scusa e tenta di fuggire. Stevanin sfonda la porta, la trascina fuori e
la minaccia nuovamente con la pistola e il taglierino, facendola salire
nella camera da letto dei genitori (ricordo solo che il padre stava
morendo all’ospedale). "Mi ha fatto spogliare e sdraiarmi sul
letto. Ricordo che in questa camera da letto ho notato degli indumenti
da donna anziana, nonché diverse statuine raffiguranti Santi e la
Madonna ed alcuni santini riposti su un comodino e su un comò. Mi ha
obbligata ad avere un rapporto sessuale rompendo prima due preservativi
e alla terza prova se ne è infilati due. Durante il rapporto sessuale,
durato circa 20 minuti, Stevanin è stato violento, cercando di baciarmi
più volte sulla bocca e di tenermi fermo il volto, ma non è riuscito
nel suo intento". L’accanita resistenza della ragazza austriaca,
che poi blandisce Stevanin offrendogli 25 milioni purché la riporti a
casa e la lascia andar via sana e salva, è il secondo elemento che le
salva la vita. E proprio il fatto di aver deciso di lasciarla vivere è
un chiaro sintomo della capacità di discernere di Stevanin di fronte
alle sue vittime. Non le avrebbe uccise in preda a un raptus
irrefrenabile, ma per una lucida scelta. E quindi, come sostengono i
periti psichiatri, era ed è capace di intendere e volere. Non un folle,
quindi.
3 julio 1995. E’ il giorno della svolta. Sto
sostituendo il caposervizio della redazione provincia, assente per
ferie. Vaccari mi telefona sovreccitata. "Hanno trovato un pezzo di
cadavere a Terrazzo, a poca distanza da casa di Stevanin". La invio
subito sul posto con un fotografo. Quando poco dopo mi comunica che si
tratta del tronco di una donna, privo di testa e di arti, convinco il
caporedattore ad aprire le pagine di cronaca con la notizia. Il pensiero
di tutti va subito a Biljana Pavlovic e Claudia Pulejo. Il moncone di
cadavere è stato trovato per caso da un contadino che stava ripulendo
un fossato in disuso da tempo. Tra le erbacce è saltato fuori un sacco,
che lacerato dalla falce con cui stava tagliando l’erba, ha rivelato
il suo orripilante contenuto. Si intravede un costato, che il medico
legale arrivato sul posto un’ora dopo stabilisce essere umano. Il fato
o la provvidenza, per chi è cristiano, ha fatto scoprire a pochi giorni
da una possibile scarcerazione il primo dei cadaveri di cui poi Stevanin,
oltre un anno dopo, ammetterà di essersi sbarazzato. Le indagini a
questo punto vengono prese dai carabinieri, che sono intervenuti per
primi sul luogo del ritrovamento, e da un nuovo magistrato: Maria Grazia
Omboni, la donna che ha inchiodato il "mostro di Terrazzo"
alle sue responsabilità. Niente più incertezze, ma grande attivismo e
decisionismo. Si fa tutto quello che si sarebbe dovuto mettere in atto
mesi prima.
6 julio 1995. A Stevanin viene spedito nel carcere di
massima sicurezza di Montorio dove è detenuto un avviso di garanzia per
omicidio volontario. Intanto in via Brazzetto arrivano le ruspe. Il
letamaio viene svuotato, ma vengono trovate solo ossa di animali,
probabilmente resti di agnelli morti gettati via dal pastore. Miglior
caccia danno i sopralluoghi del Cis, il centro investigazioni
scientifiche dei carabinieri, all’interno del casolare degli orrori e
nei dintorni. Sui muri e sui pavimenti vengono individuate tracce di
sangue, che poi risulterà essere umano, mentre nel magazzino vengono
sequestrati sacchi dello stesso tipo di quelli utilizzati per avvolgere
il pezzo di cadavere ritrovato tre giorni prima. E anche la zavorra,
alcuni mattoni in cotto, proviene da un cadente gabinetto esterno a
ridosso della stalla. Tutti pensano che il corpo ritrovato sia quello
della Pulejo, ma le prime perizie lo escludono presto.
8 julio 1995. Si marcia a tamburo battente. Un
battaglione di giovani carabinieri svuota un chilometro e mezzo di
fossato, con l’ausilio dei tecnici del consorzio di bonifica Adige-Guà,
e passa interamente al setaccio con grandi forconi rampinati la
fanghiglia che resta sul fondo. Si cercano le parti mancanti del
cadavere. Inutilmente. L’estate passa alla caccia del Dna di tutti gli
implicati: Stevanin, madre e sorelle della Pulejo e si rintracciano in
Austria e in Serbia la madre e la sorella di Biljana Pavlovic.
19 agosto 1995. Dal carcere Stevanin fa pervenire ad
Alessandra Vaccari una lunga lettera manoscritta. Tutta in stampatello.
Una grafia ossessiva. Su fogli a righe. E’ una lunga autodifesa, in un
italiano sciolto e corretto. "I peli pubici sono un caro ricordo".
"Perché continuate a parlare di casa degli orrori, visto che non
vi è stato commesso nessun tipo di violenza o di orrore?" e via
smontando tutti i sospetti peggiori. Non spende una parola, però, né
per la Pulejo, né per la Pavlovic, i cui documenti erano stati
sequestrati nel suo bazar da feticista (anche questa un’accusa che
respinge) e delle quali era ormai certo che l’ultima a vederle vive
era stato lui. Settembre e ottobre passano tra richieste di
scarcerazione o di arresti domiciliari, tutte respinte, e analisi del
Dna.
12 noviembre 1995. E’ una piovosa domenica d’autunno.
I carabinieri convocano un ruspista di Terrazzo e gli indicano un punto
preciso nella campagna di Stevanin in via Brazzetto dove scavare.
Bastano tre colpi di pala, leggeri, e si scopre il cadavere di una
giovane donna, piegato in due, con un sacchetto di nylon infilato in
testa, meticolosamente avvolto in un telone di plastica azzurra del tipo
usato in agricoltura. E’ Biljana Pavlovic. Se ne avrà la certezza
tempo dopo, con le prove del Dna e la ricostruzione dei lineamenti del
volto ad opera della super esperta scozzese Susan Black. Era scomparsa
nel settembre dell’anno precedente. Come sono arrivati i carabinieri
così a colpo sicuro? Loro raccontano che la scoperta è il frutto di
una prolungata indagine per ricostruire qualcosa di incongruo avvenuto
su quel terreno nei mesi precedenti l’arresto di Stevanin. Tutti siamo
convinti che qualcuno abbia fatto una soffiata. Sembra certo che sia
stato un cugino di Stevanin a scoprire accidentalmente il cadavere
durante le operazioni di aratura del terreno.
15 noviembre 1995. Il sostituto procuratore Omboni
chiede a Londra la macchina scovacadaveri usata per individuare le
vittime del mostro di Gloucester. Il magistrato mette sotto torchio
Stevanin. Le contestazioni si fanno man mano facendo sempre più
stringenti. Per tutto lui ha sempre una risposta "logica". Ma
le sue difese si vanno incrinando. E’ passato un anno dall’arresto.
27 noviembre 1995. La Corte d’appello di Venezia
accoglie l’istanza di scarcerazione presentata dai legali di Stevanin.
Il "mostro" può tornare in libertà. Ma il pubblico ministero
emana un nuovo provvedimento di arresto e ne blocca l’uscita dal
carcere all’ultimo momento.
29 noviembre 1995. Iniziano in grande gli scavi nei
terreni di Stevanin in via Brazzetto. Si muovono le ruspe dell’esercito.
Sono i pionieri del battaglione Bolsena del Genio a manovrarle. Si
sbancano decine di metri quadrati, dopo che i tecnici della macchina
scovacadaveri hanno indicato dove rimuovere la terra. Si trovano però
solo carogne di pecore.
30 noviembre 1995. A Stevanin torna improvvisamente un
flash di memoria. Ricorda di aver visto della terra smossa nei primi
mesi del 1994 a ridosso della stalla delle pecore. Parla anche di riti
satanici e di tracce di messe nere all’interno del casolare.
1 diciembre 1995. Viene disseppellito il terzo cadavere.
Lo trovano avviluppato in un bozzolo di domopak. Sembra una mummia
incellophanata. "E’ Claudia Pulejo", dice subito ai bordi
della fossa un carabiniere che la conosceva bene. La conferma ufficiale
arriva nelle settimane successive.
2 diciembre 1995. Torno a Terrazzo. Gli agnelli che
belano nella nebbia mattutina a due metri dalla fossa ormai vuota in cui
era stata sepolta Claudia Pulejo mi fanno tornare in mente "Il
silenzio degli innocenti" e l’incubo di Clarice Sterling alle
prese con un serial killer che scuoiava le proprie vittime. Saprò in
seguito che è il libro che Stevanin teneva sul comodino della propria
camera da letto. Solo molto tempo dopo si scoprirà che anche Stevanin
mutilava le sue vittime. Non solo rapandole e depilandole, ma privandole
degli organi genitali. Ma che razza di "mostro" è. Cerco di
capirlo ripercorrendo le vie di campagna a caccia di vecchi compagni di
scuola, di amici d’infanzia, di vicini di podere. Sull’argine dell’Adige
che costeggia la campagna in cui sono stati seminati i cadaveri vedo
passare in auto Ferdinando Camon. E’ nato a cinque chilometri da qui e
cerca di respirare l’atmosfera in cui è nato questo ennesimo figlio
della sindrome veronese. Me ne vado a sera, con le mie ossessioni
intatte e senza aver trovato una risposta.
Diciembre 1995 - Junio 1996. Inizia la battaglia dei
nervi tra la Omboni e Stevanin. Vengono riprese in mano tutte le
migliaia di fotografie della collezione del feticista. Si scopre che vi
sono riprese almeno altre due "vittime": la prostituta
austriaca Roswita Adlassnig, scomparsa dalla statale 11 tra Peschiera e
Verona, dove batteva, nella tarda primavera del 1993, e una sconosciuta,
raffigurata in una sequenza fotografica di "fist fucking" (una
pratica erotica estrema, che consiste nell’infilare pugno e
avambraccio nel retto di una persona), che secondo i periti in quel
momento era già morta. Gli omicidi contestati a Stevanin diventano
cinque: tre con cadavere ritrovato, due solo supposti.
2 febrero 1996. Nella sentenza d’appello per la
violenza carnale alla Musger, Stevanin ottiene uno sconto di sei mesi.
La sua pena scende a due anni e sei mesi. In aprile le ruspe riprendono
a scavare. Smuovono migliaia di metri cubi di terreno, ma non trovano
nulla. Nemmeno dove i rilievi aerofotogrammetrici dell’aeronautica
militare avevano rilevato qualche ombra. Intanto il Gip Carmine Pagliuca
affida una perizia psichiatrica a due super esperti di serial killer:
Ugo Fornari di Torino e Ivan Galliani di Modena. Si affiancano ai due
periti di parte della difesa, Mario Marigo di Verona e Giovanni Battista
Traverso di Siena; e a quello dell’accusa, Marco Lagazzi di Modena.
13 junio 1996. Stevanin di fronte al serrato
interrogatorio del pubblico ministero e dei carabinieri che l’assistono
recupera altre schegge di memoria. Ricorda di essersi trovato tra le
braccia una ragazza morta durante un rapporto sessuale. Non sapendo che
fare, ne aveva prima nascosto il corpo sotto un mucchio di fieno e poi
lo aveva meticolosamente smembrato con un taglierino. Un pezzo era
quello ritrovato nel luglio dell’anno precedente. Gli altri non sapeva
in quali corsi d’acqua li aveva buttati. Lo riferisce come se si
trattasse di un sogno. Invece è un incubo che invade la realtà. Le
ossessioni - le mie; le nostre, le sue, di tutti - si fanno più
incalzanti. Lo notizia della "confessione" trapela solo il 20
luglio.
6 julio 1996. La Procura chiede e ottiene altri sei
mesi di indagine. Ora il magistrato avrà tempo fino al giorno della
Befana per chiudere l’inchiesta.
12 agosto 1996. I periti del Gip, Fornari e Galliani,
consegnano la perizia. Stevanin è capace di intendere e volere.
23 agosto 1996. E’ il giorno della resa. Parziale,
ma resa. Stevanin "confessa" a modo suo quattro delitti.
Quattro ragazze gli sono morte tra le braccia. Tre durante rapporti
sessuali spinti all’estremo, ma consensuali, la Pulejo di overdose da
eroina. Biljana Pavlovic aveva accettato di farsi infilare un sacchetto
di plastica in testa per provare il "bondage" (la pratica di
soffocamento che aumenta il piacere per la maggiore irrorazione
sanguigna dei vasi genitali) e lui non si era accorto che stava morendo.
Delle altre due, una era stata involontariamente strangolata con il
braccio durante un rapporto da tergo, mentre l’altra non sapeva
spiegare come era morta. Una era una prostituta slava raccolta vicino a
Peschiera, l’altra una "studentessa" italiana conosciuta nei
pressi della basilica di San Zeno.
14 septiembre 1996. Viene smascherato il piano
diabolico di Stevanin, che aveva cercato di convincere un compagno di
detenzione in isolamento ad autoaccusarsi dei delitti di Terrazzo.
20 septiembre 1996. Stevanin, dopo quasi due anni,
torna a casa. Il magistrato lo porta a compiere un sopralluogo sui suoi
terreni e su alcuni fiumi e canali dei dintorni. Indica tre punti sul
fiume Fratta e su un canale di bonifica dove avrebbe gettato parti di
cadavere.
24 septiembre 1996. Trapela la notizia che ci sarebbe
un quarto cadavere. Si tratta del corpo di una giovane sconosciuta,
trovata priva di capelli e in avanzato stato di decomposizione il 31
luglio 1994 a Piacenza d’Adige, in provincia di Padova, lungo le rive
dell’Adige, 15 chilometri a valle della casa degli orrori di via
Brazzetto. A fornire indicazioni utili alla ricostruzione del fatto
sarebbe stato lo stesso Stevanin, in uno dei suoi lampi di memoria.
15 octubre 1996. Una "fonte" mi rivela che
al cadavere della Pavlovic sarebbero state inferte delle brutali
amputazioni. E' difficile sfondare la cortina di riserbo che il pm
Omboni ha calato sull'intera vicenda, ma riesco a scoprire che dal corpo
della giovane slava il "mostro" ha amputato l'utero e il pube,
oltre ad avere provocato la perforazione dell'osso iliaco. La conferma
arriverà con la richiesta di rinvio a giudizio.
30 octubre 1996. I periti psichiatri consegnano la
perizia definitiva. Per Fornari, Galliani e Lagazzi Stevanin è sempre
stato ed è tuttora pienamente capace di intendere e volere. Soprattutto
lo era quando ha ucciso le sue vittime. Inoltre non è epilettico né ha
disturbi di personalità legati al grave trauma cranico subito nel 1976
in un incidente motociclistico (rimase a lungo in coma, fu operato al
cervello e gli fu ricostruita la calotta ossea con delle piastre di
sostegno in acciaio). Infine non è nemmeno uno psicotico e non ha
disturbi deliranti. "Questo non significa che Stevanin sia, tra
virgolette, ‘sano di mente’", sottolinea Lagazzi, "ma
significa che la sua personalità è sicuramente molto problematica,
però non presenta nessun elemento tale da diminuirne o escluderne la
capacità di intendere e volere". I periti si astengono dal
giudicare la pericolosità del serial killer: essendo capace di
intendere e volere ciò non è più compito loro, ma dei giudici.
"Con le proprie vittime", sostiene Fornari, "giocava come
il gatto con il topo. Era il terrore che provocava in loro a dargli
piacere. Se poi, giocando, il topo moriva, beh per lui non era un
problema".
4 noviembre 1996. Le perizie analizzate dal Gip
consentono di proseguire con l’iter giudiziario. Stevanin è presente:
lunga barba nera, sguardo febbrile, molto smagrito. Non è più l’elegantone
che andava a caccia di ragazze ben vestito, indossa un brutto paio di
pantaloni verde scuro, scarpe da ginnastica, una camicia a righine rosse
e un maglioncino granata.
5 noviembre 1996. Il pubblico ministero Maria Grazia
Omboni chiede il rinvio a giudizio solo per l’omicidio volontario e
premeditato di Claudia Pulejo e Biljana Pavlovic.
20 noviembre 1996. Si tiene l’udienza preliminare
davanti al Gip Carmine Pagliuca. I parenti di Claudia Pulejo e Biljana
Pavlovici si costituiscono parte civile. Non c'è rito abbreviato
perché sono state contestate molte aggravanti da ergastolo: oltre alla
premeditazione, l'assassinio durante una violenza carnale, i motivi
abietti, la crudeltà e l'aver approfittato di vittime rese inermi. Per
l'occultamento di cadavere sono indagate altre persone, quasi certamente
la madre ma non solo. Per esse si sta procedendo separatamente. Il
"mostro di Terrazzo" comparirà davanti ai giudici popolari
della Corte d’Assise il 5 ottobre 1997. Il sostituto procuratore,
però, contemporaneamente "smembra" l’inchiesta in cinque
diversi fascicoli: ognuno dedicato a una vittima diversa. I marescialli
Fera e Swick, i due carabinieri che hanno ripercorso passo a passo le
piste di Stevanin, che si sono immersi nelle sue manie per trovare le
tracce che potessero trasformare gli indizi in prove, gli "straordinari
segugi, due veri fuoriclasse" (come li ha definiti Fornari), che
hanno costretto il "mostro di Terrazzo" ad ammettere quattro
"decessi" inchiodandolo con riscontri inoppugnabili,
proseguiranno le indagini su altre cinque potenziali vittime del serial
killer: la prostituta slava raccolta lungo la statale 11 nei pressi di
Peschiera, smembrata dopo la morte, di cui non si conosce l’identità
ed è stato ritrovato solo il tronco privo di arti e testa in via
Pegorare, dentro un fossato in disuso a un chilometro dalla casa di via
Torrano; la "studentessa" forse italiana, conosciuta nei
pressi della basilica di San Zeno, fatta a pezzi e gettata in vari
canali del Padovano, tra cui il fiume Fratta; Roswita Adlassnig, la
prostituta di Graz sparita nella primavera 1993 sempre lungo la statale
11 e le cui ultime fotografie erano, con una delle schede sulle
prestazioni, nella collezione di Stevanin; la ragazza sconosciuta
raffigurata nella terribile sequenza del "fist fucking"; e la
giovane ancora priva d’identità ripescata nell’Adige a Piacenza
Padovana, circa 15 chilometri a valle del casolare degli orrori.
Per loro, per tutti, per me l’ossessione continua.
ANALISI INVESTIGATIVA: Di Giancarlo Beltrame
SULLE
TRACCE DI BLAZENKA SMOLJO
Il suo nome è Blazenka Smoljo. Anzi era. Sarebbe lei
l’ultima vittima certa di Gianfranco Stevanin, il serial killer di
Terrazzo: la giovane donna il cui cadavere fu ripescato nel fiume a
Piacenza d’Adige, il 31 luglio 1994, sotto una chiatta per l’estrazione
della sabbia, da tempo in disuso. Aveva 24 anni. Li avrebbe compiuti
proprio nei giorni in cui invece è morta. Aveva un figlio piccolo, che
da quasi tre anni non vede il volto della madre. Un viso che le foto ci
restituiscono ora imbronciato, ora illuminato da un sorriso dolce. E’
atroce pensare che quel sorriso, divorato da topi e pesci in tre
settimane di permanenza in acqua, si è presentato agli occhi di chi ha
recuperato il corpo come un orribile ghigno. Roba da film dell’orrore.
Ma qui è peggio. Man mano che si ricongiungono i pezzi (anche in senso
letterale) dell’orribile puzzle che il mostro di Terrazzo ha
disseminato nelle campagne, nei fossati, nei canali e nei fiumi del
Basso Veneto si compone una storia ahimè vera di atrocità e di
abominio senza limiti.
L’ultimo tassello si è ricomposto in questi giorni,
grazie alla collaborazione tra L’Arena e Chi l’ha visto?, la
trasmissione di Raitre, che della scomparsa di Blazenka si era già
occupata in passato. Proprio da un confronto tra i casi irrisolti del
programma e le date ormai certe dell’ultimo "occultamento"
di cadavere confessato da Stevanin un mese fa era emersa la possibilità
che ci fosse qualche collegamento tra la sparizione di Blazenka, legata
a un giro di prostituzione e rientrata in Italia all’inizio dell’estate
1994 da Pola, in Croazia, dove era stata a visitare la famiglia, e
Stevanin. La giornalista Simona Ercolani è volata a Verona con un
operatore e insieme, foto alla mano, abbiamo ripercorso i luoghi che
sapevamo frequentati dall’agricoltore di Terrazzo. Alla stazione di
servizio Fina sulla superstrada, a Isola Rizza, la svolta. Mentre il
proprietario Luigi Merlin, fino a tre anni fa anche gestore del bar, ci
racconta di aver visto spesso Stevanin, assiduo cliente soprattutto del
settore pornografico dell’edicola, in compagnia di Claudia Pulejo gli
mostriamo le foto di Blazenka. "Ma io questa l’ho vista!",
esclama repentinamente il benzinaio, al quale una volta Stevanin si era
presentato in divisa dell’aeronautica, esibendo una falsa tessera con
il grado di "Tenente pilota capo squadriglia intercettatori",
completa di foto e dati personali. "Insieme a Stevanin?", gli
chiediamo. "Mi pare di sì, sapete è passato del tempo...",
risponde Merlin. Che Stevanin frequentasse il posto è confermato non
solo dalle parole del gestore, ma anche da uno scontrino fiscale dell’autogrill,
sequestrato in casa sua in una delle numerose perquisizioni, dietro al
quale aveva appuntato il numero di targa di una Golf Cabrio nera
vicentina.
La tappa successiva è il comando provinciale dei
carabinieri. Mostriamo agli inquirenti che stanno lentamente ma
inesorabilmente incastrando il serial killer le foto di Blazenka tratte
dal filmato tv. La conferma è immediata. Sì, la ragazza ritratta
appare anche nella collezione di foto di Stevanin. Nulla più. La
consegna del segreto istruttorio è rigida. Ma adesso hanno in mano un
nome, un’identità. E una sconosciuta in meno da cercare.
E’ di Blazenka Smoljo il cadavere senza nome di
Piacenza d’Adige? Tutto farebbe pensare di sì. L’ultimo contatto
con la famiglia in Croazia, che è anche l’ultima segnalazione in vita
della ragazza, risale alla prima settimana del luglio 1994. Dopo di che
il silenzio. Incomprensibile. Ingiustificabile. Visto lo stretto legame
che aveva con il figlioletto, Sendy, che vive in Croazia con il padre
Walter, con il quale Blazenka aveva mantenuto buoni rapporti anche dopo
la separazione. E visto che il 21 luglio sarebbe stato il suo 24°
compleanno e che certamente la giovane croata si sarebbe fatta viva con
la famiglia, con la quale non mancava mai gli appuntamenti e le
ricorrenze importanti. A fine aprile, ad esempio, era rientrata a Pola
per il quarto compleanno del figlio. Il cadavere di Piacenza viene
ritrovato dallo scavatore Gianfranco Pontara il 31 luglio. L’autopsia
dirà che è rimasto in acqua "almeno 20 giorni". Siamo assai
prossimi alla data della sparizione di Blazenka. Ma anche altri dati
emersi dall’esame autoptico portano in questa direzione. L’età: 24
anni Blazenka, da 25 a 30 anni la sconosciuta, secondo il medico legale.
L’altezza: 1.75-1.78 per entrambe. La dentatura non proprio in ordine.
La corporatura: magra. E la zona in cui si era stabilita la Smojlo.
Entrata in Italia il capodanno del 1994, due giorni dopo aveva
telefonato alla madre, che non aveva avvisato della partenza, per dirle
che si trovava a 100 km dal confine con la Francia. In giugno era stata
ricoverata in ospedale a Desenzano. A fine giugno ha chiesto alla
questura di una città del Veneto, frequentata spesso anche da Stevanin,
il permesso di soggiorno. Non l’ha mai ritirato. Nel frattempo, nell’ultima
chiamata, aveva detto alla madre che sarebbe partita in gita con un
francese che aveva conosciuto. Era Stevanin?
Intanto Chi l’ha visto? questa sera cercherà di
portare in studio la madre, il figlio o il marito di Blazenka.
Dovrebbero lanciare un ultimo disperato appello a Blazenka perché si
metta in contatto con loro. A questo punto, però, l’appello
dovrebbero forse inoltrarlo a chi in una cella di isolamento del carcere
di Montorio continua a restare chiuso in un ostinato silenzio, negando
in questo modo, come un estremo oltraggio, perfino il conforto di una
tomba alle sue vittime.
Il figlio e la madre di Blazenka sono attesi in Italia
anche dagli inquirenti, che li sottoporrebbero a un prelievo di saliva
per poter eseguire l’esame del Dna, da paragonare con quello della
"sconosciuta" sepolta dall’agosto 1994 nel cimitero maggiore
di Padova, accanto a un carabiniere caduto in servizio, nel primo
reparto, fila 29, posto 35.
Il viaggio con Simona Ercolani di Chi l’ha visto?
sulle piste di Blazenka si è concluso proprio lì, al tramonto, davanti
a un tumulo spoglio, con una semplice croce. Senza nomi. Senza fiori. A
questi ha provveduto la natura, più pietosa dell’uomo, che vi ha
fatto crescere sulla terra qualche sporadica violetta. La certezza di un
nome in questo momento la potrebbe dare solo il suo assassino. Se
finalmente si decidesse a confessare. Tutto.
UDIENZA DEL 30/12/1997
Si contorce, si dibatte, guizza come un’anguilla
impazzita in un catino d’acqua. Si arrabbia con i cronisti "spioni"
e non risparmia battute sarcastiche agli avvocati. È un Gianfranco
Stevanin assai nervoso quello che prima deve affrontare gli ultimi
interrogatori del pubblico ministero Maria Grazia Omboni, che gli
contesta il quinto e il sesto degli omicidi volontari di cui è imputato e per sovrappiù anche una violenza carnale
vecchia di otto anni e mezzo, e poi i controesami dei legali delle parti
civili. Tentano di stanarlo dal bunker dei "non ricordo",
delle "rievocazioni di un sogno", dell’"episodio
vissuto in terza persona, come se in un film io vedessi una persona, che
potrei anche essere io, tagliare a pezzi un cadavere", degli
pseudoricordi e delle visioni. Provano ad aggirare il fuoco di
sbarramento di un’intera gamma di perifrasi ipotetiche, di ammissioni
con l’elastico, di deduzioni, di "presumo", "ritengo",
"è possibile", di "se", "forse", "può
darsi". Ci prova persino il suo avvocato difensore, Cesare Dal Maso,
a provocarlo. "Dici cose assurde", lo sfida. Ma anche per lui
Stevanin ha sempre la risposta pronta.
La replica, più o meno immediata, ce l’ha per quasi
tutte le domande. Sembra non rendersi conto che con tante contorsioni
come l’anguilla della metafora iniziale sta svuotando progressivamente
l’acqua salvifica. Che, al pari di una delle sue vittime, stringe
sempre più i nodi con cui si è legato da solo. Solo che invece che
alla morte come la povera Biljana, questi lo porteranno dritto dritto a
una severa condanna.
Solamente in un paio di momenti modifica l’atteggiamento
di "impassibilità" di cui giunge a vantarsi con l’avvocato
Guariente Guarienti.
Prima quando boccheggia davanti a una serie di domande
impreviste dell’avvocato Giampaolo Cazzola, che gli chiede
delucidazioni sui pilastri morali della sua vita. Poi quando con Dal
Maso mette in scena una specie di psicodramma. L’ultimo tentativo di
dimostrare a una Corte d’assise sempre più scettica, la propria
follia
A fine udienza il pubblico ministero Maria Grazia
Omboni offre il regalo di Natale a Gianfranco Stevanin: cambia i capi di
imputazione, ma gli lascia sei omicidi sul groppone. La coscia ripescata
nel canale Graizzara a Merlara (Padova) il 12 giugno viene accorpata
come da perizia del Dna con il tronco privo di arti e di testa rinvenuto
il 3 luglio 1995, che diede avvio a tutte le disgrazie giudiziarie più
gravi di Stevanin, ma resta in piedi l’accusa anche per l’omicidio
della donna ripresa in una agghiacciante sequenza fotografica. Quattro
scatti che si concludono con una orribile mutilazione nella zona
genitale. Nella sua affannosa difesa il serial killer, nonostante in una
delle inquadrature appaia il suo braccio, riconoscibile per un vistoso
braccialetto d’oro, dice di non ricordare assolutamente nulla.
"Di tutte le foto ricordo perfettamente quando le ho fatte, con chi
e se me le hanno date. Ma questa foto da dove arriva? Io non l’ho
fatta. Non ricordo di averla scattata. In base a questo scatto non sono
imputabile", conclude, indossando i panni dell’avvocato. Arriva a
ipotizzare che l’ultimo scatto sia stato aggiunto mettendolo assieme
ad altre foto in cui compare lui. Da chi? Non si sa. Torna ad aleggiare
l’ombra del complotto. Non spiega però chi possa essere. Torna a
parlare della "studentessa", conosciuta a San Zeno,
reincontrata un paio di volte e poi portata nella casa degli orrori. In
realtà la casa degli orrori sono poi due, perché tutto il
"cruento" (così lo definisce) "incidente" del
depezzamento avviene in via Torrano nell’autunno 1994, poche settimane
prima dell’arresto, pochi giorni dopo lo strozzamento di Biljana,
quando i genitori sono in ospedale per la malattia che porterà alla
tomba il padre. Soliti rapporti sessuali, prima in giardino e poi in
casa e "alla fine la ragazza era esanime".
Anche stavolta Stevanin dà la sua lezione. Di
medicina e di psichiatria. Lei è morta per shock vagale durante una
penetrazione troppo intensa. Lui è "dissociato", perché non
ricorda nulla, ma vede solo nella mente un altro se stesso -
"presume" - che taglia a pezzi il cadavere. Non la testa però.
Se non ricorda è perché ha un rifiuto di quanto è successo. "Si
vede" vomitare quando con il taglierino recide l’arteria femorale
e schizza sangue dappertutto. Siamo in piano "splatter", il
cinema horror dagli effettacci più macabri e pacchiani. Per il resto ha
solo tre flash. "Rievocazioni di un sogno", che l’hanno
portato a condurre gli inquirenti in altrettanti luoghi, in uno dei
quali è stata ripescata una coscia disossata. "Ma non sono stato
io a togliere l’osso, questa immagine non c’è nella mia mente,
nonostante abbia fatto sforzi inimmaginabili per ricordare".
È più il presidente Mario Sannite che il Pm Omboni a
condurre le danze. Ma Stevanin dice solo quello che ha deciso di dire,
pensando che sia quello che processualmente gli tornerà utile.
Ci prova l’avvocato Guariente Guarienti, primo dei
legali di parte civile a gettargli un appiglio mentra si sta
autoaffondando. "Le sue sono imputazioni da ergastolo, anche a
voler credere alla sua tesi degli incidenti, sono talmente che la pena
sarà inevitabile. A questo punto, visto che confessarne uno o più non
fa differenza dal punto di vista della pena finale, perché non lascia
fare alla madre di Roswita Adlassnig, che lei ha visto qui piangente, il
funerale della figlia?". Stevanin rifiuta la collaborazione.
"Se non c’è cadavere come può esserci omicidio?"
Anche i giovani avvocati che tutelano i parenti
Blazenka Smoljo e Biljana Pavlovic, i fratelli Marco ed Enrico
Bastianello, hanno ripetutamente messo in difficoltà Stevanin. Uno lo
ha messo di fronte al costante adeguamento delle proprie risposte alle
risultanze delle perizie medico-legali, l’altro gli ha prima
rinfacciato la rinuncia pretestuosa all’eredità, la furbata della
rasatura dei capelli per mettere in evidenza la cicatrice e soprattutto
gli ha fatto confessare che alla povera Biljana prima legò le mani e
poi infilò in testa il sacchetto che la soffocò. Quale credibilità
può avere a questo punto la sua tesi della partner consenziente al
gioco sessuale estremo? Anche se avesse detto di no, come avrebbe potuto
liberarsi a quel punto, mentre lui le stringeva attorno al collo il
cappio che sarebbe divenuto mortale? E quando si trova messo alle
strette, incalzato dalle contraddizioni delle varie versioni che gli
vengono sbattute in faccia, non trova di meglio per evitare di
rispondere che prendersela con il cronista che a suo dire "spia i
fogli sul tavolo dei suoi avvocati". Quando è troppo è troppo,
signor Stevanin.
Cadavere ritrovato sotterrato, 12 nov. 1995, Numerose
mutilazioni ed asportazioni di parti anatomiche
ROSWITA ADLASSING:
Scomparsa il 8 Mag. 1993, mai ritrovata.
BLAZENKA SMOLJO:
Cadavere rinvenuto a Piacenza d'Adige il 31/7/94.
Non ancora identificata:
Tronco rinvenuto in un canale a Terrazzo di Legango (VR)
nel luglio 1995. Coscia disossata rinvenuta in un canale di Merlara.
Non ancora identificata:
La donna ritratta in una serie di negativi sequestrata
a casa di Stevanin ed con molte probabilità dceduta in seguito ad una
azione omicidiaria.
Profilo psicologico
Lo Stevanin, nato a Montagnana (PD) il 2/10/1960, è
uno stupratore feticista, un perverso violentatore. Nel gennaio 1994
sparisce la prima ragazza, l'altra sette mesi dopo. Nel novembre 1994 lo
Stevanin viene arrestato per aver aggredito e violentato una prostituta
somigliante alle due ragazze scomparse, Gabriella Muster.
Nella sua villa a Terrazzo, vengono ritrovate
delle fotografie porno, degli indumenti e meccanismi sadomaso,
dei peli pubici femminili in una scatola e i vestiti i gioielli e i
documenti delle due ragazze scomparse. Aumenta sempre di più la paura
dopo aver ritrovato una carcassa umana nei terreni agricoli di Stevanin;
si attende solo l'esame del DNA per scoprire a chi appartenevano quei
resti umani.
Tutti ci poniamo di fondo un’unica domanda: "Chi è
veramente Gianfranco Stevanin"? Il più feroce dei serial killer
comparsi negli ultimi anni, capace di smembrare in non si sa quanti
pezzi i cadaveri delle sue vittime? Un maniaco sessuale che nella
ricerca esasperata del piacere è diventato un omicida involontario? Un
folle che godeva solo se durante il rapporto sessuale sentiva le partner
contorcersi negli spasimi agonici mentre le strangolava? Un uomo malato
alle prese con un’altra identità, quasi un emulo di Jekill e Hyde,
che sta cercando faticosamente di far emergere i frammenti di memoria,
le schegge di follia che hanno attraversato la sua vita e di cui nega
l’esistenza, come sostengono i suoi avvocati Daniele Accebbi, Cesare
Dal Maso e Lino Roetta? Un minorato mentale, un "tontolone
fanfarone" come lo credevano molti conoscenti e compaesani, che
nemmeno si rende conto di quello che ha combinato? O una mente
diabolica, che cede solo di fronte alle prove inoppugnabili che gli
pongono di fronte i carabinieri e il pubblico ministero, ma non ammette
nulla di più di quanto gli inquirenti già sanno e ciò che
"confessa" lo dice in modo da confondere ancor più le acque?
Oppure un narcisista megalomane convinto di essere più scaltro di
giudici, avvocati, inquirenti, giornalisti e psichiatri messi insieme,
che mena la danza delle rivelazioni come ritiene gli sia più utile? O
ancora, il membro di una banda criminale dedita a pratiche sadomaso e
alla produzione di orribili filmati in cui vengono riprese gli spasmi di
giovani vittime agonizzanti? Una cosa è certa, Stevanin ormai è dentro
di noi. E’ il lato oscuro della nostra ricca provincia, che sotto la
placida e talora paciosa immagine superficiale nasconde inquietanti
tensioni, che di tanto in tanto magmaticamente esplodono.