Murderpedia

 

 

Juan Ignacio Blanco  

 

  MALE murderers

index by country

index by name   A B C D E F G H I J K L M N O P Q R S T U V W X Y Z

  FEMALE murderers

index by country

index by name   A B C D E F G H I J K L M N O P Q R S T U V W X Y Z

 

 

 
 

Gianfranco STEVANIN

 
 
 
 
 

 

 

 

 


Alias: "
Il mostro di Terrazzo"
 
Clasificación: Asesino en serie
Características: Sádico - Mutilador
Número de víctimas: 5 - 6 +
Periodo actividad: 1993 - 1994
Fecha detención: 16 noviembre 1994
Fecha de nacimiento: 21 octubre 1960
Perfil víctimas: Mujeres
Método de matar: Estrangulación - Asfixia
Localización: Terrazzo, Verona, Italia
Status: Condenado a cadena perpetua 28 enero 1998
 
 

 
 

Gianfranco Stevanin (Montagnana, 21 ottobre 1960) è un criminale e serial killer italiano, ritenuto colpevole dell'omicidio di 5 donne nel 1994. Il suo caso ebbe grande risalto su molti media nazionali e sollevò un dibattito sulla questione dell'incapacità di intendere o di volere.

Note biografiche

Gianfranco Stevanin nasce il 21 ottobre 1960 a Montagnana, in provincia di Padova da una famiglia di proprietari terrieri, vive i primi anni della sua vita a Terrazzo (VR). Durante questi anni il padre di Gianfranco andrà spesso a caccia ma il figlio rifiuterà sempre di scuoiare gli animali insieme al padre provando ribrezzo ad uccidere. All'età di 5 anni la famiglia lo manda in un collegio di preti, questo perché sua madre attraversa un periodo difficile a causa di una gravidanza che infatti poi non porterà a termine, dopo l'aborto Gianfranco può tornare a casa.

Una volta cresciuto comincia a dare una mano a suo padre nella gestione delle proprietà di famiglia, ma un giorno scivola nel fango e sbatte violentemente la testa contro un attrezzo agricolo. In seguito all'incidente i genitori temono che non sia in grado di badare a se stesso in giro per i campi e lo fanno entrare in un collegio di suore, per preservare la sua integrità. Gli anni in collegio sono particolarmente solitari per Gianfranco, non riesce a stringere amicizie e vede raramente i suoi genitori. A 13 anni subisce l'abuso da parte di una donna 24enne sposata e insoddisfatta sessualmente.

Nel 1975 Gianfranco esce dal collegio e solo un anno dopo, il 21 novembre 1976, è vittima di un grave incidente di moto che comporta un trauma cranico e un grave intervento chirurgico particolarmente delicato. Questo incidente cambia la vita del ragazzo, a causa della degenza perde tutti i suoi pochi amici e come postumi dell'incidente ha un focolaio epilettico. Stevanin trascorre gli anni seguenti tra vari problemi (meningiti e forti emicranie) e cambiamenti comportamentali. Cresciuto comincia ad avere una passione per la pornografia, al punto da fotografare le sue amiche nude o in pose oscene.

Primi reati

Tra il 1978 e il 1983 Stevanin ha diversi guai con la legge, in un'occasione finge di essere stato rapito e chiama i genitori per chiedere il riscatto, finge di avere una pistola in tasca e obbliga una ragazza ad accompagnarlo ad una festa e rapina un'altra ragazza. Nel 1983 viene condannato per omicidio colposo per un incidente in cui perde la vita una sua amica. Nel 1989 rapisce e violenta una prostituta di Verona, Maria Luisa Mezzari, ma questo fatto non viene attribuito a lui prima di molti anni.

Tra il 1980 e il 1985 ha la sua storia d'amore più importante, interrotta bruscamente a causa dei genitori. In risposta a questa delusione (e alla scoperta un po' di tempo dopo che la sua ex si è rifatta una vita) comincia a frequentare prostitute e si appassiona a forme di sesso estremo.

Stevanin usa come base per i suoi incontri sessuali un casolare semiabbandonato di proprietà dei suoi genitori, in questo luogo deposita tutta la sua attrezzatura pornografica, in particolare oggetti per rapporti sadomaso. In questo casolare invita prostitute "abbordate" sulle strade periferiche spacciandosi per una persona importante, e le convince ad avere rapporti sessuali estremi e a farsi fotografare legate, imbavagliate o incappucciate.

Omicidi

Il 15 gennaio 1994 sparisce Claudia Pulejo, prostituta tossicodipendente di 29 anni, Stevanin la attira nel casolare con la promessa di darle dei farmaci in cambio di "fotografie particolari". Durante un gioco erotico lui le stringe troppo forte il collo e la ragazza muore. Stevanin seziona il corpo in molte parti e le fa sparire

Durante il 1994 Stevanin uccide altre donne, non meno di 3, forse 5.

Arresto

Il 16 novembre 1994, a Vicenza, Stevanin caricò nella sua Volvo una prostituta di nome Sigrid L., le offrì dei soldi per avere rapporti sessuali e per poterle scattare delle foto. Dopo alcune ore di giochi sessuali estremi la prostituta tentò la fuga attraverso la finestra di un bagno e in seguito rifiutò di farsi scattare altre foto e per questo venne minacciata da Stevanin con un coltello. Per avere salva la vita, offrì a Gianfranco tutti i suoi risparmi (circa 25 milioni di lire) se la lascerà andare, e il maniaco accettò; il denaro però si trova a casa della Musger e quindi i due salgono in auto per andare a prenderlo. Al casello di Vicenza Ovest Stevanin fermò la macchina per pagare il pedaggio, in quel momento la prostituta riuscì a scendere dalla macchina per andare verso una volante della polizia e denunciare il suo cliente per violenza sessuale.

La polizia arrestò Gianfranco per violenza sessuale, estorsione, e possesso di una pistola giocattolo priva del regolare tappo rosso. In seguito a questo episodio, fu condannato a 2 anni e sei mesi di carcere.

Indagini

Durante le perquisizioni nella casa gli inquirenti trovano materiale pornografico (tra cui oltre 7000 fotografie scattate personalmente da Gianfranco alle sue partner), libri di anatomia, scatole contenti peli pubici e uno schedario contenente le informazioni su tutte le sue partner.

Tuttavia la polizia considera Stevanin solo un maniaco accusato di violenza e tentativo di estorsione, gli inquirenti cominciano a sospettare crimini più gravi dopo il ritrovamento di oggetti appartenenti ad una donna di nome Biljana Pavlovic, di cui non si hanno notizie dall'agosto 1994 e di Claudia Pulejo.

Le due ragazze sono citate anche negli schedari di Stevanin. Gianfranco si giustifica dicendo di aver avuto con loro delle normali brevi relazioni e che i vestiti sono solo un pegno d'amore che le ragazze gli hanno lasciato.

Il 3 luglio 1995 un agricoltore di Terrazzo trovò in un terreno vicino alla casa di Stevanin un sacco contenente i resti di un cadavere, Stevanin venne sospettato di omicidio e il magistrato inviò delle ruspe per cercare altri corpi.

Il 12 novembre 1995 venne ritrovato il corpo di un'altra donna, anche stavolta il corpo è stato avvolto in un sacco, ma in questa occasione il ritrovamento avviene in un terreno di proprietà di Stevanin e il test del DNA dimostrerà inequivocabilmente che il corpo appartiene a Biljana Pavlovic.

Il 1 dicembre 1995 venne ritrovato il terzo corpo, quello di Claudia Pulejo.

Stevanin viene interrogato dagli inquirenti ma il suo atteggiamente è controverso, a tratti sembra ricordare qualcosa per poi smentirla subito dopo e afferma di avere dei vuoti di memoria. A Stevanin vengono attribuiti anche gli omicidi di una prostituta austraica di nome Roswita Adlassnig, presente nelle foto di Stevanin e nel suo schedario e di cui non si hanno notizie da mesi e di un'altra donna mai identificata, fotografata impegnata in un atto sessuale apparentemente priva di vita.

Il 24 settembre 1996 (dopo la parziale confessione di Stevanin) viene ritrovato nell'Adige un altro cadavere non identificato, anche questo viene attribuito a Stevanin. Poi dopo esame del DNA il cadavere verrà riconosciuta in Blazenca Smolijo.

Confessione

Il 19 luglio 1996 Stevanin decise di confessare e affermò di aver smembrato i cadaveri di quattro donne, me che l'omicidio delle ragazze non era premeditato, queste infatti sarebbero morte durante rapporti sessuali estremi o, nel caso della Pulejo, per overdose di eroina.

Riguardo al cadavere non identificato afferma che si trattava di una studentessa di cui non ricorda né nome né volto, dice di averla incontrata solo tre o quattro volte. Stevanin racconta le sue confessioni affermando che agiva come se non sapesse cosa stava facendo, come se si trattasse di sogni.

Processo

Dopo diverse sedute per una perizia psichiatrica Stevanin viene dichiarato processabile e capace di intendere e di volere, gli esperti affermano che Stevanin è mentalmente capace, intelligente (QI 114) e un abile calcolatore.

I periti della difesa cercano di contestare la perizia psichiatrica, affermando che tutti i disturbi di Gianfranco Stevanin sono da ricondurre all'incidente di moto che quasi gli costò la vita.

Stevanin si presenta alle sedute con la testa rasata, per mostrare bene l'evidente cicatrice che secondo la difesa è alla base di tutto. La prima sentenza, il 28 gennaio 1998, condanna Gianfranco Stevanin all’ergastolo, di cui tre anni in totale isolamento diurno.

Nel gennaio 1999, Stevanin vendette la casa e tutti i terreni di proprietà per risarcire parzialmente le famiglie delle vittime.

In seguito la Corte d’Assise assolve l’imputato dall'accusa di omicidio perché incapace di intendere e di volere, e lo condanna a 10 anni e sei mesi per occultamento e villipendio di cadavere.

Nel dicembre del 2000, mentre si trovava rinchiuso nel manicomio giudiziario, venne gravemente ferito al collo da un colpo di lametta infertogli da un altro detenuto extracomunitario.

La sentenza definitiva arrivò il 23 marzo 2001, la Corte d’Appello di Venezia dichiarò che Gianfranco Stevanin è in grado di intendere e di volere, motivo per cui venne automaticamente confermata la condanna all’ergastolo. Anche la Corte di Cassazione confermò l'ergastolo, respingendo le istanze della difesa. Tuttora è rinchiuso nel carcere di Sulmona in Abruzzo dove ha salvato la vita del suo compagno di cella che ha tentato di suicidarsi per due volte.

Capi d'Imputazione

  • occultamento di cadavere

  • violenza sessuale a Maria Luisa Mezzari

  • violenza sessuale e sequestro di persona a Gabriele Musger

  • ergastolo per l'omicidio di Biljana Pavlovic

  • ergastolo per l'omicidio di Claudia Pulejo

  • ergastolo per l'omicidio di Blazenca Smolijo

  • ergastolo per l'omicidio di una ragazza sconosciuta

  • ergastolo per l'omicidio di una ragazza sconosciuta, imputazione in seguito a foto postmortem ritratte da Stevanin.

  • 3 anni di isolamento diurno

  • 150 milioni di lire per ogni famiglia di ogni vittima riconosciuta.

Inoltre è attrbuito a Stevanin l'omicidio di Roswita Adlassing, vista per l'ultima volta con Stevanin, ma il cadavere non è mai stato ritrovato.

Wikipedia.org


Gianfranco Stevanin, sesso e morte

L'abitazione era in quel casolare vicino alla riva dell'Adige, con le immagini di santi e di madonne alle pareti. Gianfranco Stevanin, più che fare l'agricoltore a Terrazzo, paesino della Bassa veronese, preparava trappole alle donne. Aveva infatti trasformato il suo casolare in una sorta di "club privé personale" a luci rosse, con videocassette, riviste porno, vibratori, mutandine di pizzo e reggicalze, borchie e tutine di cuoio, cinghie e palline di varie dimensioni. Adocchiava preferibilmente ragazze di vita ai margini delle strade di grande transito e le incantava, spacciandosi ora per produttore tv, ora per agente alla ricerca di top model, ora per fotografo, ora per campione di moto o pilota d'aereo. Capelli corti, bel ragazzone di poco oltre la trentina, era riuscito a collezionare ben 7000 foto che lo ritraevano mentre faceva l'amore. A volte si faceva immortalare mentre gli prendevano le misure: trentadue centimetri, come John Holmes, divo porno, suo grande idolo.

Aveva però un viziaccio maledetto il bel Gianfranco: non era amore se non osava l'inosabile, legando mani, mettendo cappucci, imbavagliando, spesso con contorno di stupefacenti e sesso estremo. E se qualcuna ci restava secca, pace all'anima sua: da alcova il casolare diventava obitorio per sezionare e il campo intorno diventava cimitero per seppellire. Eppure non c'era storia che non decollasse tra sorrisi, brindisi, pranzetti, progettazione di viaggi. Riusciva persino simpatico Stevanin, tant'è vero che le ragazze non sospettavano nulla sino a quando non riapparivano in circolazione. Qualche mamma si rivolgeva a Chi l'ha visto?, la popolare trasmissione tv della Rai. Qualcun'altra sporgeva denuncia, mostrando sorpresa e amarezza per il modo in cui s'era volatilizzata. Bramoso di nuove conquiste, chissà quanti altri chilometri Stevanin avrebbe consumato tra Verona, il Lago di Garda e le località balneari venete se una sera non fosse capitolato all'uscita dal casello di Vicenza Ovest: la sua ultima fiamma, dopo essere stata nel casolare, aveva capito sin dai preliminari cosa nascondessero tante premure. Approfittò perciò che Stevanin fosse impegnato nel pagare il pedaggio, per aprire di botto lo sportello dell'auto, lanciarsi fuori ed avvertire una pattuglia della Polstrada. A questo punto per i magistrati ricostruire la "carriera" del serial killer della Bassa diventò quasi un gioco da ragazzi, anche perché le confessioni dell'arrestato sembrarono un fiume in piena. Raccontò di una, di due, di tre...Tra gli inquirenti, già all'inizio, c'era chi si diceva convinto che le ammazzate potevano essere state anche sei. E lui parlava, parlava, con atteggiamenti tra l'indifferenza e la smemoratezza. Ecco qualche stralcio di verbale.

"Mi piaceva quella ragazza. Una straniera, credo fosse una prostituta. L'avevo conosciuta a Verona. Una sera le proposi di venire da me, lei disse di sì, la portai al casolare. Era il 1993, non ricordo il mese. Ricordo che durante il rapporto le tenevo un braccio stretto al collo. Ogni tanto la stringevo. E' stato solo quando abbiamo finito che mi sono accorto che lei non si muoveva più. Era morta".

E ancora, parlando di un'altra: "Non so neppure dire chi fosse e che nome avesse. Ricordo solo che non la portai al casolare, ma nella casa nuova. Mi pare fosse autunno. Facemmo l'amore piegati su un fianco, io le misi le mani intorno al collo e lei morì. La portai al casolare, lasciai lì il corpo un paio di giorni, poi presi un taglierino da balsa, tagliai prima una gamba in due pezzi, poi l'altra, quindi le braccia. Le ho tagliato anche la testa, l'ho rasata e non ricordo se ho fatto dei pezzi anche del tronco. Ho lavorato diverse notti...".

E di una terza: "Già altre volte avevamo fatto insieme "bondage", sesso estremo. E quella sera al casolare, decidemmo di provare qualcosa di diverso. La feci spogliare, le legai le mani dietro la schiena, la feci sdraiare a faccia in giù e tirai la corda dalle mani fino intorno al collo. Quindi le infilai un sacchetto di nylon sulla testa, per provare un piacere più intenso. Ma una volta finito di fare l'amore, mi accorsi che era morta. Presi il cadavere, lo piegai in due, lo avvolsi in un telo cerato color azzurro, lo portai nell'orto e lo lasciai poco lontano, dentro un avallamento. Poi lo ricoprii di terra con il badile, bruciai gli abiti e la borsetta".

Eppure tutti dicevano: beato la donna che lo sposerà. Sembrava cresciuto bene, timorato di Dio. Ma che poteva saperne la gente dell'inferno che c'era nella sua testa? A 4 anni, figlio unico, lo misero in collegio, dai preti. Tornò a casa all'età di 14 anni "per ritrovare con papà più un rapporto tra amici che tra padre e figlio". Con mamma invece erano liti: "Era peggio di uno 007. Impossibile depistarla. E io avevo i miei segreti: le pornoriviste, le prime foto in bianco e nero che scattavo alle amichette nude". A 17 anni, la prima fiamma. Si chiamava Donatella, "era vergine, niente sesso". Sino ai 19 anni, piccole perversioni, l'ossessione di fare indossare mutandine acquistate al mercato. A vent'anni arrivò l'amore "con la A maiuscola". Si chiamava Amelia, materna ma anche scatenata nel sesso: "Eravamo al ritmo di tre rapporti al dì". Si piantarono dopo cinque anni: "Finì per colpa dei miei genitori, Forse per iperprotettività, intervenivano sempre":

I periti dissero che, dopo Amelia, "la donna non è stata più vissuta da Stevanin come buona, ma come cattiva", "le donne sono diventate solo dei buchi da riempire". Ad Ada, per ripicca, portò via il passaporto, un orologio, un collier e vari indumenti intimi. A Grazia diede subito l'etichetta di "parecchio stupida e troppo possessiva". A Loredana, divorziata con figlia, rimproverò che "non mi accettava come padre". Si allargava così la forbice tra normalità e perversione. E da solitario vitellone di provincia, Gianfranco Stevanin si trasformò gradualmente in professore honoris causa del sesso estremo, sino a seviziare, operare chirurgicamente con lo stesso zelo di un dottor Mengele, strangolare, uccidere, godere del suo stesso sadismo: "Di ragazze ne ho rasate parecchie. Tenevo i peli pubici ed i capelli perché pensavo di farmi l'imbottitura di un cuscino". E intanto all'esterno si mostrava elegantone. Per far colpo sugli amici a volte raccontava: "Il sesso per me è un'arte. Un rapporto come dico io dura per delle ore. Se inizia alle ventidue non finisce prima delle due. Posso avere tre eiaculazioni in un'ora..." E si vantava di avere avuto amplessi anche sui prati, in auto, sui tavolacci, sugli argini dei fiumi...Matto da legare? "No, no - diceva qualche perito - è la persona meno matta che mi sia capitata davanti. Gran narciso, persino intelligente, abilissimo nel presentarsi come vittima e carnefice". Le sue stesse amnesie sugli omicidi erano a volte autentiche simulazioni finché gli inquirenti non lo mettevano davanti a delle prove.

Qualche cronista scomodò per Stevanin anche l'appellativo di "Landru della Bassa". Ricordate? Henri Désiré Landru arrivò a uccidere sino a 11 fidanzate e durante il processo a Parigi risultò che era entrato in contatto con almeno 230 donne, tra le quali aveva selezionato le sue vittime: le faceva sparire in una stufa di un villino di campagna, dopo averle sedotte. Però non confessò mai. Anzi, qualcuna delle "sopravvissute" lo difese a spada tratta. Il 22 febbraio 1922, prima di consegnare la testa alla carnefice, chiese e ottenne che gli venisse tagliata la barba: "Così alle donne piacerò di più".

In scala maggiore o minore, il disgustoso fascino del male potrebbe davvero aver dato a ogni epoca i suoi Landru. Quando il 4 dicembre 1997, proprio all'inizio delle fasi processuali, in Corte d'Assise chiesero a Stevanin: "Cos'ha da dire sui delitti che le vengono contestati?", lui rispose: "Durante gli interrogatori mi sono lasciato andare alla fantasia, alle deduzioni per compiacere chi m'interrogava. Ora mi sono raffiorati". E appena si trattò di approfondire cosa avesse fatto alla prima delle vittime, raccontò che era morta per overdose. E il sacchetto di plastica sul capo? "Lasciai il cadavere al casolare, non sapevo cosa fare, avevo una gran confusione. Quando tornai vidi che i topi avevano morsicato il volto. Le misi un sacchetto sulla testa, avvolsi il corpo nel domopak, scavai una buca e la seppellii". Il tutto "per affetto, perché il suo corpo si conservasse, era una cara amica".


Gianfranco Stevanin

La Casa degli Orrori

Le case degli orrori sono due. La prima è una villetta isolata nei campi con i muri azzurro carta da zucchero (o divisa da aviatore, se preferite). La seconda è un casolare di campagna, con la facciata color rosellina. Colori tenui, ma incongruenti rispetto alla tradizione della zona. E difatti questa stonatura le fa immediatamente saltare agli occhi se ci si passa nei pressi. La cascina che si trova in via Brazzetto, dove sono stati dissotterrati i cadaveri di Claudia Pulejo e Biljana Pavlovic, desolata e desolante nel suo abbandono, imbruttita da tapparelle verdi che hanno sostituto le vecchie imposte e da una porta a vetri che ha preso il posto dei vecchi battenti in legno, e la pretenziosa villetta con tanti alberi non autoctoni nel giardino sembrano il simbolo del tribolato passaggio dall'antica e immobile civiltà contadina a un benessere troppo rapido, pagato con la perdita delle radici. 

E' all'interno di queste case che Gianfranco Stevanin metteva in atto i propri stupri e uccideva (volontariamente secondo il pubblico ministero Maria Grazia Omboni, involontariamente stando ai suoi confusi racconti) le proprie giovani vittime. E poi ne sezionava i cadaveri, asportandone parti o smembrandoli completamente. E' in via Torrano che Stevanin stupra la Musger e racconta di essersi trovata morta tra le braccia la prima vittima, una prostituta slava conosciuta nel 1993, cui dovrebbe (il condizionale è ancora d'obbligo) appartenere il tronco privo di arti e testa recuperato nel luglio dell'anno scorso in via Pegorare. e' in via Brazzetto che muoiono invece la Pulejo e la Pavlovic, sotterrate dopo essere state impacchettate come mummie (la plastica è un altro elemento ricorrente, come il taglierino e la rasatura di peli e capelli, in questi delitti), e viene letteralmente fatta sparire la "studentessa". 

Ma cosa c'era nelle due case? In via Torrano, al momento dell'arresto nel novembre 1994, la polizia sequestra due pistole giocattolo (una era servita per minacciare la prostituta austriaca violentata) e un taglierino. Prende nota del tavolo con le cinghie attaccate alla gambe. Si porta via l'ultimo rullino scatta alla Musger, che documentava gli atti sessuali compiuti. E poi sequestra circa 150 contenitori di foto, con 36 fotografie ciascuno, per un totale di oltre cinquemila pose tra hard core e soft core, alcuni rullini con negativi sviluppati e foto ancora da stampare, decine di videocassette porno, un vero e proprio campionario di vibratori di ogni tipo e foggia, una capigliatura bionda, i contenitori dei peli pubici, indumenti intimi e capi d'abbigliamento femminili, borsette di donne e i documenti di cinque ragazze, due delle quali sparite senza lasciare traccia: Claudia Pulejo e Biljana Pavlovic. Nel casolare di via Brazzetto, invece, scoperto solo dopo cinque giorni, furono rinvenuti giornali pornografici, lettere ad amanti e fidanzate, santini e immagini di santi e le famose schede sulle prestazioni di alcune donne: tra queste quelle di Claudia Pulejo e Roswita Adleasnic. Sono i capelli e i peli pubici a colpire in particolare i poliziotti: ai periti Stevanin confesserà che voleva utilizzarli come imbottitura di un cuscino, una specie di guanciale su cui posare il capo e sfogare le proprie fantasie erotiche. Tutte legate al ricordo degli orrori inferti alle sue vittime. 

Fu sequestrato tutto? Gli inquirenti sono convinti di no. La pista non fu battuta inizialmente finché era ancora calda. Colpa del conflitto di competenza tra la questura di Vicenza, che aveva effettuato l'arresto il mercoledì, e quella di Verona, che si vide passare le consegne a fine settimana. Andarono persi giorni preziosi, nel corso dei quali eventuali complici avrebbero potuto far sparire prove compromettenti, soprattutto in via Brazzetto, dove il materiale fu trovato in gran disordine. Inoltre successivamente passarono quasi otto mesi prima che venisse trovato il primo mezzo cadavere e le indagini ritrovassero spinta con l'intervento dei carabinieri. In questo lasso di tempo, è convinzione degli inquirenti, anche la madre di Stevanin potrebbe aver soppresso delle prove non individuate al primo colpo. Anche questi fanno parte dei molti misteri ancora da chiarire sulle due case degli orrori. E se, non molto lontano, ce ne fosse una terza assolutamente insospettabile?


CRONISTORIA vista da Giancarlo Beltrame

Questa è la storia di un’ossessione. Nata da altre ossessioni. Quelle maniacali di Gianfranco Stevanin, il possidente agricolo della Bassa Veronese che è stato ribattezzato il "mostro di Terrazzo" dopo che nei suoi terreni e in un fossato a poche centinaia di metri da casa sua sono stati rinvenuti due cadaveri e mezzo. Un’ossessione che ha contagiato tutti coloro che in qualche modo hanno avuto a che fare con questa faccenda per la quale la parola "fine" è ancora lontana. "La nostra ossessione" la definisco quando, incrociandola nei corridoi del Palazzo di giustizia di Verona, provo a chiedere informazioni a Maria Grazia Omboni, il sostituto procuratore che da un anno e tre mesi sta cercando di trovare le prove per inchiodare Stevanin alle sue responsabilità (a proposito, alla richiesta non ho mai avuto risposta negli ultimi mesi, perché il magistrato non apre più bocca da quando si è accorta che Stevanin in carcere studiava attentamente tutte le indiscrezioni pubblicate sui giornali per poter meglio impostare la propria linea difensiva). Un’ossessione che ormai si è impossessata di carabinieri e periti psichiatri, di medici legali e fotografi, di giornalisti e avvocati. Di tutti coloro, insomma, che per motivi professionali sono entrati in contatto con questo caso criminologico che è certamente il più "intrigante" degli ultimi anni. Ma non solo. Lo è diventata ormai anche di migliaia di lettori, che fanno alzare le vendite del giornale locale L’Arena non appena fuori dalle edicole compare una locandina con gli ultimi sviluppi della vicenda. E discutono. E ti chiedono spiegazioni. Non c’è cena tra amici o semplici conoscenti oppure con colleghi in trasferta in cui ormai non mi trovi costretto a "rallegrare" i commensali con i dettagli più macabri o più piccanti di cui sono venuto a conoscenza, incalzato da domande talora morbose. E l’ossessione è tale che nessuno perde l’appetito sentendo parlare, tra un primo e un dessert, di fist fucking o di cadaveri sezionati in dieci pezzi con un taglierino o di una testa segata con un segaccio da meli.

Tutti ci poniamo di fondo un’unica domanda: "Chi è veramente Gianfranco Stevanin"? Il più feroce dei serial killer comparsi negli ultimi anni, capace di smembrare in non si quanti pezzi i cadaveri delle sue vittime? Un maniaco sessuale che nella ricerca esasperata del piacere è diventato un omicida involontario? Un folle che godeva solo se durante il rapporto sessuale sentiva le partner contorcersi negli spasimi agonici mentre le strangolava? Un uomo malato alle prese con un’altra identità, quasi un emulo di Jekill e Hyde, che sta cercando faticosamente di far emergere i frammenti di memoria, le schegge di follia che hanno attraversato la sua vita e di cui nega l’esistenza, come sostengono i suoi avvocati Daniele Accebbi, Cesare Dal Maso e Lino Roetta? Un minorato mentale, un "tontolone fanfarone" come lo credevano molti conoscenti e compaesani, che nemmeno si rende conto di quello che ha combinato? O una mente diabolica, che cede solo di fronte alle prove inoppugnabili che gli pongono di fronte i carabinieri e il pubblico ministero, ma non ammette nulla di più di quanto gli inquirenti già sanno e ciò che "confessa" lo dice in modo da confondere ancor più le acque? Oppure un narcisista megalomane convinto di essere più scaltro di giudici, avvocati, inquirenti, giornalisti e psichiatri messi insieme, che mena la danza delle rivelazioni come ritiene gli sia più utile? O ancora, il membro di una banda criminale dedita a pratiche sadomaso e alla produzione di orribili filmati in cui vengono riprese gli spasmi di giovani vittime agonizzanti?

Una cosa è certa, Stevanin ormai è dentro di noi. E’ il lato oscuro della nostra ricca provincia, che sotto la placida e talora paciosa immagine superficiale nasconde inquietanti tensioni, che di tanto in tanto magmaticamente esplodono portando a galla orrori inenarrabili.

Ma vediamo il diario di questa ossessione.

16 novembre 1994. E’ sera. La giornata nella redazione provincia si sta chiudendo tranquilla. Le pagine sono già composte in video. Fuori è buio. Squilla il telefono. E’ il collega Ivano Tolettini del Giornale di Vicenza, con cui c’è una sinergia. "C’è uno delle tue parti che ha violentato per sette ore una puttana austriaca. Ne ha combinate di tutti i colori. Si chiama Stevanin. Gianfranco Stevanin". La notizia c’è, ma è ancora incompleta. E’ tardi. Decidiamo con il caposervizio di approfondirla l’indomani, anche per motivi di spazio. Piuttosto di bruciarla in poche righe, la rinviamo. Anche Vicenza fa lo stesso. Il mio lavoro è quello che si definisce "di cucina": organizzazione dei servizi dei collaboratori, dei corrispondenti e dei fotografi, scelta degli argomenti da mettere in pagina, gerarchia delle notizie, disegno dei menabò, titolazione, ecc. Mobilito la collega Alessandra Vaccari, nell’ufficio di corrispondenza di Legnago, perché il mattino successivo si rechi a Terrazzo a raccogliere notizie e commenti con il fotografo Giorgio Marchiori. Da questo momento per mesi nasce un lavoro di squadra, lei è la vedetta che va in avanscoperta sul posto, raccoglie le informazioni e scrive, io sono quello che dalle retrovie in redazione tira le fila, vaglia, suggerisce, rifinisce. Dal momento del ritrovamento del cadavere di Claudia Pulejo anch’io comincio a occuparmene in prima persona, seguendo le tracce dell’inchiesta nel Palazzo di giustizia.

17 novembre 1994. Mentre Vaccari è a Terrazzo, arriva una nuova chiamata di Tolettini, che ha raccolto nuovi dettagli. "Guarda che la polizia in casa di Stevanin ha trovato di tutto. Foto porno, filmini, vibratori, roba sadomaso... Perfino un sacchetto pieno colmo di peli di f...". Una collezione da "re dei feticisti" con una particolare passione per la tricofilia. Nel paesino della Bassa nessuno sa niente. Nella casa di via Torrano, dove è avvenuta la prolungata violenza alla prostituta austriaca Gabriele Musger, che fuggendo dall’auto al casello autostradale di Vicenza Ovest ha fatto arrestare Stevanin, c’è solo una zia. La madre di Gianfranco, Noemi Miola, è all’ospedale di Borgo Trento dove assiste il marito Giuseppe, morente per un tumore. Per intanto il futuro "mostro" è soltanto uno che "sequestra, sevizia e stupra", come titoliamo a tutta pagina. Ma cogliamo qualcosa di inquietante in tutta la vicenda.

18 novembre 1994. Interpello un amico psicologo, Franco Baldini, psicoterapeuta con vasta esperienza nel campo dei problemi sessuali e gli spiego la vicenda. "E’ un caso da manuale delle deviazioni sessuali", è il suo primo commento. Ci soffermiamo sulla raccolta di foto e sulla collezione di peli pubici. "Le fotografie erano probabilmente per lui la documentazione certa e provata che la fantasia era diventata realtà. Mentre la raccolta di peli appartiene a una tradizione culturale molto maschilista, assai diffusa nella Bassa Veronese, della "lista delle vittime". Quei peli erano per lui trofei, gli scalpi del cacciatore di indiani o le tacche sulla Colt del pistolero da film western. Una conferma di sé. Un dirsi ‘quanto sono macho, quanto sono bravo. E non è fantasia, perché ho qui le prove’", è l’analisi di Baldini, che vista a posteriori ha una straordinaria intuizione.

19 novembre 1994. All’ospedale muore il padre di Gianfranco. E’ la madre che gli porta la notizia in carcere. Intanto trapela che tra gli oggetti sequestrati nel bazar dell’eros di Stevanin vi sono anche i documenti di alcune giovani donne scomparse da tempo. Una è una giovane cameriera slava, Biljana Pavlovic, 25 anni, l’altra e la tossicodipendente Claudia Pulejo, 29 anni, di Legnago, la cui sparizione è stata denunciata dalla madre Alessandra Giulietti a gennaio. Ma i carabinieri di Legnago non l’avevano presa molto sul serio quando era andata a dire loro che "Chicca", come chiamava la figlia, la sera del 15 gennaio, quando se ne erano perse le tracce, aveva un appuntamento con Gianfranco Stevanin. Già altre volte la Pulejo si era assentata a lungo senza dar notizie. Un anno dopo i cadaveri delle due giovani saranno dissepolti dai terreni di Stevanin.

20 novembre 1994. Mi reco a Vicenza per tentare di intervistare Gabriele Musger, vittima dell'aggressione. Nell’hotel Italia mi trovo di fronte una bella ragazza, giovane e fragile. E’ alta, esile, indossa una larga camicia a piccoli scacchi azzurri e neri sopra una maglietta bianca e i fuseaux neri. Una grande cascata di capelli biondi leggermente arricciati la fa assomigliare in maniera impressionante e inquietante a Claudia Pulejo. E’ terrorizzata e non vuole parlare.

21 novembre 1994. Mentre nella chiesa parrocchiale di Terrazzo si celebra il rito funebre per Giuseppe Stevanin, Vaccari scopre la seconda "casa degli orrori". E’ un casolare abbandonato a pochi metri dall’argine dell’Adige. Ci va solo un pastore che ha affittato la stalla per ricoverarvi la sera il gregge. La porta è aperta. Entra e vede altro materiale sfuggito alle perquisizioni della polizia, bloccata dal passaggio burocratico degli atti da Vicenza dove è avvenuto l’arresto a Verona nel cui territorio è avvenuto lo stupro e ha quindi la competenza del caso giudiziario. Le due questure ignorano ancora l’esistenza di questa casa. Vi sono in un gran disordine lettere a fidanzate e compagne di giochi erotici, schede di ragazze con indicate misure e prestazioni, tra cui quella di Claudia Pulejo, riviste porno mescolate a santini di Padre Pio e a biglietti del pellegrinaggio a Lourdes. Sulla scheda di Chicca è riportata una condizione: "Avrò pure il diritto di scegliere le persone con le quali avrò poi rapporti corporali; di qualsiasi tipo siano i rapporti previsti dal servizio fotografico, visto che in genere, ci dovrò come minimo fare l’amore assieme, o no? In ogni caso niente servizi sadomaso". Un triste presentimento per chi è poi probabilmente rimasta vittima di una rapporto sadomasochistico con Stevanin. Solo a sera comunque arrivano gli agenti e prelevano tutto. Sono passati cinque giorni dall’arresto. Se Stevanin aveva dei complici hanno avuto tutto il tempo per far sparire il materiale più compromettente. Diventano sempre più inquietanti i risvolti della vicenda, che inizialmente sembrava solo uno stupro ai danni di una prostituta. In un articolo mi chiedo: "La terra di Ludwig, la coppia di giovani bene che sterminava frati, gay, drogati e frequentatori di locali a luci rosse, di Pietro Maso che soldi ha massacrato i genitori e dei ragazzi che lanciando per noia sassi da un cavalcavia dell’autostrada hanno ammazzato una ventenne partorisce un altro orrore?"

22-27 novembre 1994. Le indagini ormai definitivamente passate in mano alla questura di Verona e al sostituto procuratore Angela Barbaglio sembrano arenarsi. La madre della Pulejo riconosce in una serie di foto di nudi la figlia Claudia, ma il confronto di un ciuffo di capelli di Chicca con la capigliatura bionda sequestrata nel museo delle proprie imprese erotiche che Stevanin aveva eretto in via Torrano esclude che siano della stessa persona. Solo quando a un anno di distanza saranno scoperti i cadaveri si vedrà che Stevanin aveva un macabro rito tutto suo: prima di seppellirle, di farle a pezzi o di gettarle nei fiumi della zona depilava il pube e rapava a zero le donne che gli morivano tra le braccia. Dal passato dello stupratore emergono problemi psichiatrici, conseguenza di un grave incidente stradale dal quale si è salvato solo con un intervento di ricostruzione della calotta cranica. Nel frattempo viene trasferito in carcere a Verona. Ma gli amici tossicodipendenti di Chicca lanciano un messaggio: "Cercate nel letamaio di via Brazzetto, Claudia è sepolta lì". Il 1 dicembre dell’anno successivo le ruspe dei carabinieri la troveranno a pochi metri dal posto indicato.

30 novembre 1994. Stevanin continua a proclamarsi innocente per bocca dei suoi avvocati difensori e rifiuta di rispondere alle domande del magistrato. La polizia diffonde le fotografie di una coppia ritratta in un gioco erotico di gruppo con Stevanin. Mesi dopo si scoprirà che si tratta di due coniugi di Arezzo, patiti dello scambio di partner.

1-31 dicembre 1994. Le indagini sono a un punto morto. I nuovi controlli della polizia scientifica sulle auto di Stevanin, una Volvo 740 nera con una grande pantera dipinta sul cofano, e una Lancia Dedra, non partano a nulla. Solamente la costante attenzione dei due giornali locali, "L’Arena" e "La Cronaca", e della trasmissione televisiva "Chi l’ha visto?", un cui regista, Gianni Lepre, "contagiato" dalla giornalista Fausta Mannarino, si fa prendere anche lui dall’ossessione e "s’innamora" del caso, tengono desta l’attenzione su quello che magistrato e polizia stanno trattando come un banale episodio di violenza carnale da parte di un maniaco del sesso.

1 enero - 28 febrero 1995. I giudici che si occupano dell’iter giudiziario della violenza carnale lasciano Stevanin in custodia cautelare in carcere. Una scelta che in seguito si rivelerà provvidenziale, perché in questo modo non avrà la possibilità di far sparire le tracce di alcuni dei suoi delitti come aveva già fatto in precedenza con altri. Il 15 gennaio "L’Arena" prepara un servizio per ricordare la scomparsa di Claudia Pulejo un anno prima.

1 marzo 1995. Il pubblico ministero Angela Barbaglio chiede il rinvio a giudizio per Stevanin. L’accusa parla solo di violenza carnale. Vengono escluse le altre imputazioni di tentata estorsione e sequestro di persona ai danni di Gabriele Musger.

20 marzo 1995. Stevanin paga 20 milioni alla Musger, la prostituta austriaca che aveva seviziato e violentato ripetutamente, dopo averla minacciata con una pistola giocattolo e un temperino, per poter ottenere il rito abbreviato e uno sconto di pena.

19 junio 1995. Il giudice delle indagini preliminari Sandro Sperandio condanna Stevanin a tre anni di reclusione per stupro. Il giorno prima gli avvocati difensori hanno chiesto per l’ennesima volta la scarcerazione del loro assistito. Nel dare la notizia della sentenza scrivo un articolo ricordando "Il mistero delle due sparite". "Dove sono finite Claudia Pulejo e Biljana Pavlovic?", mi chiedo ricordando che i loro documenti sono stati trovati nella casa di via Torrano. E’ l’ossessione che ritorna. Nessuno sa ancora che sono morte uccise da Stevanin e i loro corpi si trovano sepolti nei campi di via Brazzetto. Tutto dovrebbe essere finito con la condanna nell’udienza preliminare, eppure il dubbio sulla loro sparizione continua a ronzarmi in testa. E non solo il solo ad avere dei sospetti.

1 julio 1995. Viene depositata la sentenza. Vi è riportata la deposizione di Gabriele Musger, che racconta cosa è successo nella casa degli orrori di via Torrano, una villetta azzurro carta da zucchero, isolata nella campagna, lontana dall’unica strada che passa nella zona. "Puntandomi una pistola e un temperino mi ha fatto spogliare e indossare una tuta di donna scollata e di colore azzurro", inizia il racconto delle costrizioni subite. E’ la stessa tuta che in alcune fotografie appare indossata da Claudia Pulejo. Ancora un feticcio, uno dei tanti, del "mostro" dall’aspetto innocuo e gentile. "Poi mi ha fatto nuovamente spogliare e lui tenendosi addosso i pantaloni mi ha fatto sedere sulle ginocchia in sala da pranzo e utilizzando l’autoscatto ha effettuato una fotografia", riprende il racconto della prostituta violentata. "Poi mi ha obbligata a prendere il suo pene, scattando nella circostanza un’altra fotografia. Quindi mi ha fatto chinare di schiena sul divano della sala e dopo essersi infilato il preservativo mi ha penetrata, ma Stevanin non ha raggiunto l’orgasmo. Allora mi ha chiesto di farmi fotografare nuda, legata al tavolo, di schiena, china, con gli occhi bendati e una fascia in bocca. Io a quel punto mi sono rifiutata". Un rifiuto che le salva la vita. Perché le evita di diventare un "giocattolo" nelle mani del "mostro". Se non è legata e imbavagliata non può torturarla con giochi sadici, né infilarle in testa e soffocarla, né strangolarla senza che lei opponga resistenza.

Dopo la richiesta di 25 milioni per lasciarla andare e un nuovo discorso su un presunto"capo" che dovrebbe arrivare da un momento all’altro, La Musger riesce ad andare in bagno con una scusa e tenta di fuggire. Stevanin sfonda la porta, la trascina fuori e la minaccia nuovamente con la pistola e il taglierino, facendola salire nella camera da letto dei genitori (ricordo solo che il padre stava morendo all’ospedale). "Mi ha fatto spogliare e sdraiarmi sul letto. Ricordo che in questa camera da letto ho notato degli indumenti da donna anziana, nonché diverse statuine raffiguranti Santi e la Madonna ed alcuni santini riposti su un comodino e su un comò. Mi ha obbligata ad avere un rapporto sessuale rompendo prima due preservativi e alla terza prova se ne è infilati due. Durante il rapporto sessuale, durato circa 20 minuti, Stevanin è stato violento, cercando di baciarmi più volte sulla bocca e di tenermi fermo il volto, ma non è riuscito nel suo intento". L’accanita resistenza della ragazza austriaca, che poi blandisce Stevanin offrendogli 25 milioni purché la riporti a casa e la lascia andar via sana e salva, è il secondo elemento che le salva la vita. E proprio il fatto di aver deciso di lasciarla vivere è un chiaro sintomo della capacità di discernere di Stevanin di fronte alle sue vittime. Non le avrebbe uccise in preda a un raptus irrefrenabile, ma per una lucida scelta. E quindi, come sostengono i periti psichiatri, era ed è capace di intendere e volere. Non un folle, quindi.

3 julio 1995. E’ il giorno della svolta. Sto sostituendo il caposervizio della redazione provincia, assente per ferie. Vaccari mi telefona sovreccitata. "Hanno trovato un pezzo di cadavere a Terrazzo, a poca distanza da casa di Stevanin". La invio subito sul posto con un fotografo. Quando poco dopo mi comunica che si tratta del tronco di una donna, privo di testa e di arti, convinco il caporedattore ad aprire le pagine di cronaca con la notizia. Il pensiero di tutti va subito a Biljana Pavlovic e Claudia Pulejo. Il moncone di cadavere è stato trovato per caso da un contadino che stava ripulendo un fossato in disuso da tempo. Tra le erbacce è saltato fuori un sacco, che lacerato dalla falce con cui stava tagliando l’erba, ha rivelato il suo orripilante contenuto. Si intravede un costato, che il medico legale arrivato sul posto un’ora dopo stabilisce essere umano. Il fato o la provvidenza, per chi è cristiano, ha fatto scoprire a pochi giorni da una possibile scarcerazione il primo dei cadaveri di cui poi Stevanin, oltre un anno dopo, ammetterà di essersi sbarazzato. Le indagini a questo punto vengono prese dai carabinieri, che sono intervenuti per primi sul luogo del ritrovamento, e da un nuovo magistrato: Maria Grazia Omboni, la donna che ha inchiodato il "mostro di Terrazzo" alle sue responsabilità. Niente più incertezze, ma grande attivismo e decisionismo. Si fa tutto quello che si sarebbe dovuto mettere in atto mesi prima.

6 julio 1995. A Stevanin viene spedito nel carcere di massima sicurezza di Montorio dove è detenuto un avviso di garanzia per omicidio volontario. Intanto in via Brazzetto arrivano le ruspe. Il letamaio viene svuotato, ma vengono trovate solo ossa di animali, probabilmente resti di agnelli morti gettati via dal pastore. Miglior caccia danno i sopralluoghi del Cis, il centro investigazioni scientifiche dei carabinieri, all’interno del casolare degli orrori e nei dintorni. Sui muri e sui pavimenti vengono individuate tracce di sangue, che poi risulterà essere umano, mentre nel magazzino vengono sequestrati sacchi dello stesso tipo di quelli utilizzati per avvolgere il pezzo di cadavere ritrovato tre giorni prima. E anche la zavorra, alcuni mattoni in cotto, proviene da un cadente gabinetto esterno a ridosso della stalla. Tutti pensano che il corpo ritrovato sia quello della Pulejo, ma le prime perizie lo escludono presto.

8 julio 1995. Si marcia a tamburo battente. Un battaglione di giovani carabinieri svuota un chilometro e mezzo di fossato, con l’ausilio dei tecnici del consorzio di bonifica Adige-Guà, e passa interamente al setaccio con grandi forconi rampinati la fanghiglia che resta sul fondo. Si cercano le parti mancanti del cadavere. Inutilmente. L’estate passa alla caccia del Dna di tutti gli implicati: Stevanin, madre e sorelle della Pulejo e si rintracciano in Austria e in Serbia la madre e la sorella di Biljana Pavlovic.

19 agosto 1995. Dal carcere Stevanin fa pervenire ad Alessandra Vaccari una lunga lettera manoscritta. Tutta in stampatello. Una grafia ossessiva. Su fogli a righe. E’ una lunga autodifesa, in un italiano sciolto e corretto. "I peli pubici sono un caro ricordo". "Perché continuate a parlare di casa degli orrori, visto che non vi è stato commesso nessun tipo di violenza o di orrore?" e via smontando tutti i sospetti peggiori. Non spende una parola, però, né per la Pulejo, né per la Pavlovic, i cui documenti erano stati sequestrati nel suo bazar da feticista (anche questa un’accusa che respinge) e delle quali era ormai certo che l’ultima a vederle vive era stato lui. Settembre e ottobre passano tra richieste di scarcerazione o di arresti domiciliari, tutte respinte, e analisi del Dna.

12 noviembre 1995. E’ una piovosa domenica d’autunno. I carabinieri convocano un ruspista di Terrazzo e gli indicano un punto preciso nella campagna di Stevanin in via Brazzetto dove scavare. Bastano tre colpi di pala, leggeri, e si scopre il cadavere di una giovane donna, piegato in due, con un sacchetto di nylon infilato in testa, meticolosamente avvolto in un telone di plastica azzurra del tipo usato in agricoltura. E’ Biljana Pavlovic. Se ne avrà la certezza tempo dopo, con le prove del Dna e la ricostruzione dei lineamenti del volto ad opera della super esperta scozzese Susan Black. Era scomparsa nel settembre dell’anno precedente. Come sono arrivati i carabinieri così a colpo sicuro? Loro raccontano che la scoperta è il frutto di una prolungata indagine per ricostruire qualcosa di incongruo avvenuto su quel terreno nei mesi precedenti l’arresto di Stevanin. Tutti siamo convinti che qualcuno abbia fatto una soffiata. Sembra certo che sia stato un cugino di Stevanin a scoprire accidentalmente il cadavere durante le operazioni di aratura del terreno.

15 noviembre 1995. Il sostituto procuratore Omboni chiede a Londra la macchina scovacadaveri usata per individuare le vittime del mostro di Gloucester. Il magistrato mette sotto torchio Stevanin. Le contestazioni si fanno man mano facendo sempre più stringenti. Per tutto lui ha sempre una risposta "logica". Ma le sue difese si vanno incrinando. E’ passato un anno dall’arresto.

27 noviembre 1995. La Corte d’appello di Venezia accoglie l’istanza di scarcerazione presentata dai legali di Stevanin. Il "mostro" può tornare in libertà. Ma il pubblico ministero emana un nuovo provvedimento di arresto e ne blocca l’uscita dal carcere all’ultimo momento.

29 noviembre 1995. Iniziano in grande gli scavi nei terreni di Stevanin in via Brazzetto. Si muovono le ruspe dell’esercito. Sono i pionieri del battaglione Bolsena del Genio a manovrarle. Si sbancano decine di metri quadrati, dopo che i tecnici della macchina scovacadaveri hanno indicato dove rimuovere la terra. Si trovano però solo carogne di pecore.

30 noviembre 1995. A Stevanin torna improvvisamente un flash di memoria. Ricorda di aver visto della terra smossa nei primi mesi del 1994 a ridosso della stalla delle pecore. Parla anche di riti satanici e di tracce di messe nere all’interno del casolare.

1 diciembre 1995. Viene disseppellito il terzo cadavere. Lo trovano avviluppato in un bozzolo di domopak. Sembra una mummia incellophanata. "E’ Claudia Pulejo", dice subito ai bordi della fossa un carabiniere che la conosceva bene. La conferma ufficiale arriva nelle settimane successive.

2 diciembre 1995. Torno a Terrazzo. Gli agnelli che belano nella nebbia mattutina a due metri dalla fossa ormai vuota in cui era stata sepolta Claudia Pulejo mi fanno tornare in mente "Il silenzio degli innocenti" e l’incubo di Clarice Sterling alle prese con un serial killer che scuoiava le proprie vittime. Saprò in seguito che è il libro che Stevanin teneva sul comodino della propria camera da letto. Solo molto tempo dopo si scoprirà che anche Stevanin mutilava le sue vittime. Non solo rapandole e depilandole, ma privandole degli organi genitali. Ma che razza di "mostro" è. Cerco di capirlo ripercorrendo le vie di campagna a caccia di vecchi compagni di scuola, di amici d’infanzia, di vicini di podere. Sull’argine dell’Adige che costeggia la campagna in cui sono stati seminati i cadaveri vedo passare in auto Ferdinando Camon. E’ nato a cinque chilometri da qui e cerca di respirare l’atmosfera in cui è nato questo ennesimo figlio della sindrome veronese. Me ne vado a sera, con le mie ossessioni intatte e senza aver trovato una risposta.

Diciembre 1995 - Junio 1996. Inizia la battaglia dei nervi tra la Omboni e Stevanin. Vengono riprese in mano tutte le migliaia di fotografie della collezione del feticista. Si scopre che vi sono riprese almeno altre due "vittime": la prostituta austriaca Roswita Adlassnig, scomparsa dalla statale 11 tra Peschiera e Verona, dove batteva, nella tarda primavera del 1993, e una sconosciuta, raffigurata in una sequenza fotografica di "fist fucking" (una pratica erotica estrema, che consiste nell’infilare pugno e avambraccio nel retto di una persona), che secondo i periti in quel momento era già morta. Gli omicidi contestati a Stevanin diventano cinque: tre con cadavere ritrovato, due solo supposti.

2 febrero 1996. Nella sentenza d’appello per la violenza carnale alla Musger, Stevanin ottiene uno sconto di sei mesi. La sua pena scende a due anni e sei mesi. In aprile le ruspe riprendono a scavare. Smuovono migliaia di metri cubi di terreno, ma non trovano nulla. Nemmeno dove i rilievi aerofotogrammetrici dell’aeronautica militare avevano rilevato qualche ombra. Intanto il Gip Carmine Pagliuca affida una perizia psichiatrica a due super esperti di serial killer: Ugo Fornari di Torino e Ivan Galliani di Modena. Si affiancano ai due periti di parte della difesa, Mario Marigo di Verona e Giovanni Battista Traverso di Siena; e a quello dell’accusa, Marco Lagazzi di Modena.

13 junio 1996. Stevanin di fronte al serrato interrogatorio del pubblico ministero e dei carabinieri che l’assistono recupera altre schegge di memoria. Ricorda di essersi trovato tra le braccia una ragazza morta durante un rapporto sessuale. Non sapendo che fare, ne aveva prima nascosto il corpo sotto un mucchio di fieno e poi lo aveva meticolosamente smembrato con un taglierino. Un pezzo era quello ritrovato nel luglio dell’anno precedente. Gli altri non sapeva in quali corsi d’acqua li aveva buttati. Lo riferisce come se si trattasse di un sogno. Invece è un incubo che invade la realtà. Le ossessioni - le mie; le nostre, le sue, di tutti - si fanno più incalzanti. Lo notizia della "confessione" trapela solo il 20 luglio.

6 julio 1996. La Procura chiede e ottiene altri sei mesi di indagine. Ora il magistrato avrà tempo fino al giorno della Befana per chiudere l’inchiesta.

12 agosto 1996. I periti del Gip, Fornari e Galliani, consegnano la perizia. Stevanin è capace di intendere e volere.

23 agosto 1996. E’ il giorno della resa. Parziale, ma resa. Stevanin "confessa" a modo suo quattro delitti. Quattro ragazze gli sono morte tra le braccia. Tre durante rapporti sessuali spinti all’estremo, ma consensuali, la Pulejo di overdose da eroina. Biljana Pavlovic aveva accettato di farsi infilare un sacchetto di plastica in testa per provare il "bondage" (la pratica di soffocamento che aumenta il piacere per la maggiore irrorazione sanguigna dei vasi genitali) e lui non si era accorto che stava morendo. Delle altre due, una era stata involontariamente strangolata con il braccio durante un rapporto da tergo, mentre l’altra non sapeva spiegare come era morta. Una era una prostituta slava raccolta vicino a Peschiera, l’altra una "studentessa" italiana conosciuta nei pressi della basilica di San Zeno.

14 septiembre 1996. Viene smascherato il piano diabolico di Stevanin, che aveva cercato di convincere un compagno di detenzione in isolamento ad autoaccusarsi dei delitti di Terrazzo.

20 septiembre 1996. Stevanin, dopo quasi due anni, torna a casa. Il magistrato lo porta a compiere un sopralluogo sui suoi terreni e su alcuni fiumi e canali dei dintorni. Indica tre punti sul fiume Fratta e su un canale di bonifica dove avrebbe gettato parti di cadavere.

24 septiembre 1996. Trapela la notizia che ci sarebbe un quarto cadavere. Si tratta del corpo di una giovane sconosciuta, trovata priva di capelli e in avanzato stato di decomposizione il 31 luglio 1994 a Piacenza d’Adige, in provincia di Padova, lungo le rive dell’Adige, 15 chilometri a valle della casa degli orrori di via Brazzetto. A fornire indicazioni utili alla ricostruzione del fatto sarebbe stato lo stesso Stevanin, in uno dei suoi lampi di memoria.

15 octubre 1996. Una "fonte" mi rivela che al cadavere della Pavlovic sarebbero state inferte delle brutali amputazioni. E' difficile sfondare la cortina di riserbo che il pm Omboni ha calato sull'intera vicenda, ma riesco a scoprire che dal corpo della giovane slava il "mostro" ha amputato l'utero e il pube, oltre ad avere provocato la perforazione dell'osso iliaco. La conferma arriverà con la richiesta di rinvio a giudizio.

30 octubre 1996. I periti psichiatri consegnano la perizia definitiva. Per Fornari, Galliani e Lagazzi Stevanin è sempre stato ed è tuttora pienamente capace di intendere e volere. Soprattutto lo era quando ha ucciso le sue vittime. Inoltre non è epilettico né ha disturbi di personalità legati al grave trauma cranico subito nel 1976 in un incidente motociclistico (rimase a lungo in coma, fu operato al cervello e gli fu ricostruita la calotta ossea con delle piastre di sostegno in acciaio). Infine non è nemmeno uno psicotico e non ha disturbi deliranti. "Questo non significa che Stevanin sia, tra virgolette, ‘sano di mente’", sottolinea Lagazzi, "ma significa che la sua personalità è sicuramente molto problematica, però non presenta nessun elemento tale da diminuirne o escluderne la capacità di intendere e volere". I periti si astengono dal giudicare la pericolosità del serial killer: essendo capace di intendere e volere ciò non è più compito loro, ma dei giudici. "Con le proprie vittime", sostiene Fornari, "giocava come il gatto con il topo. Era il terrore che provocava in loro a dargli piacere. Se poi, giocando, il topo moriva, beh per lui non era un problema".

4 noviembre 1996. Le perizie analizzate dal Gip consentono di proseguire con l’iter giudiziario. Stevanin è presente: lunga barba nera, sguardo febbrile, molto smagrito. Non è più l’elegantone che andava a caccia di ragazze ben vestito, indossa un brutto paio di pantaloni verde scuro, scarpe da ginnastica, una camicia a righine rosse e un maglioncino granata.

5 noviembre 1996. Il pubblico ministero Maria Grazia Omboni chiede il rinvio a giudizio solo per l’omicidio volontario e premeditato di Claudia Pulejo e Biljana Pavlovic.

20 noviembre 1996. Si tiene l’udienza preliminare davanti al Gip Carmine Pagliuca. I parenti di Claudia Pulejo e Biljana Pavlovici si costituiscono parte civile. Non c'è rito abbreviato perché sono state contestate molte aggravanti da ergastolo: oltre alla premeditazione, l'assassinio durante una violenza carnale, i motivi abietti, la crudeltà e l'aver approfittato di vittime rese inermi. Per l'occultamento di cadavere sono indagate altre persone, quasi certamente la madre ma non solo. Per esse si sta procedendo separatamente. Il "mostro di Terrazzo" comparirà davanti ai giudici popolari della Corte d’Assise il 5 ottobre 1997. Il sostituto procuratore, però, contemporaneamente "smembra" l’inchiesta in cinque diversi fascicoli: ognuno dedicato a una vittima diversa. I marescialli Fera e Swick, i due carabinieri che hanno ripercorso passo a passo le piste di Stevanin, che si sono immersi nelle sue manie per trovare le tracce che potessero trasformare gli indizi in prove, gli "straordinari segugi, due veri fuoriclasse" (come li ha definiti Fornari), che hanno costretto il "mostro di Terrazzo" ad ammettere quattro "decessi" inchiodandolo con riscontri inoppugnabili, proseguiranno le indagini su altre cinque potenziali vittime del serial killer: la prostituta slava raccolta lungo la statale 11 nei pressi di Peschiera, smembrata dopo la morte, di cui non si conosce l’identità ed è stato ritrovato solo il tronco privo di arti e testa in via Pegorare, dentro un fossato in disuso a un chilometro dalla casa di via Torrano; la "studentessa" forse italiana, conosciuta nei pressi della basilica di San Zeno, fatta a pezzi e gettata in vari canali del Padovano, tra cui il fiume Fratta; Roswita Adlassnig, la prostituta di Graz sparita nella primavera 1993 sempre lungo la statale 11 e le cui ultime fotografie erano, con una delle schede sulle prestazioni, nella collezione di Stevanin; la ragazza sconosciuta raffigurata nella terribile sequenza del "fist fucking"; e la giovane ancora priva d’identità ripescata nell’Adige a Piacenza Padovana, circa 15 chilometri a valle del casolare degli orrori.

Per loro, per tutti, per me l’ossessione continua.


ANALISI INVESTIGATIVA: Di Giancarlo Beltrame

SULLE TRACCE DI BLAZENKA SMOLJO

Il suo nome è Blazenka Smoljo. Anzi era. Sarebbe lei l’ultima vittima certa di Gianfranco Stevanin, il serial killer di Terrazzo: la giovane donna il cui cadavere fu ripescato nel fiume a Piacenza d’Adige, il 31 luglio 1994, sotto una chiatta per l’estrazione della sabbia, da tempo in disuso. Aveva 24 anni. Li avrebbe compiuti proprio nei giorni in cui invece è morta. Aveva un figlio piccolo, che da quasi tre anni non vede il volto della madre. Un viso che le foto ci restituiscono ora imbronciato, ora illuminato da un sorriso dolce. E’ atroce pensare che quel sorriso, divorato da topi e pesci in tre settimane di permanenza in acqua, si è presentato agli occhi di chi ha recuperato il corpo come un orribile ghigno. Roba da film dell’orrore. Ma qui è peggio. Man mano che si ricongiungono i pezzi (anche in senso letterale) dell’orribile puzzle che il mostro di Terrazzo ha disseminato nelle campagne, nei fossati, nei canali e nei fiumi del Basso Veneto si compone una storia ahimè vera di atrocità e di abominio senza limiti.

L’ultimo tassello si è ricomposto in questi giorni, grazie alla collaborazione tra L’Arena e Chi l’ha visto?, la trasmissione di Raitre, che della scomparsa di Blazenka si era già occupata in passato. Proprio da un confronto tra i casi irrisolti del programma e le date ormai certe dell’ultimo "occultamento" di cadavere confessato da Stevanin un mese fa era emersa la possibilità che ci fosse qualche collegamento tra la sparizione di Blazenka, legata a un giro di prostituzione e rientrata in Italia all’inizio dell’estate 1994 da Pola, in Croazia, dove era stata a visitare la famiglia, e Stevanin. La giornalista Simona Ercolani è volata a Verona con un operatore e insieme, foto alla mano, abbiamo ripercorso i luoghi che sapevamo frequentati dall’agricoltore di Terrazzo. Alla stazione di servizio Fina sulla superstrada, a Isola Rizza, la svolta. Mentre il proprietario Luigi Merlin, fino a tre anni fa anche gestore del bar, ci racconta di aver visto spesso Stevanin, assiduo cliente soprattutto del settore pornografico dell’edicola, in compagnia di Claudia Pulejo gli mostriamo le foto di Blazenka. "Ma io questa l’ho vista!", esclama repentinamente il benzinaio, al quale una volta Stevanin si era presentato in divisa dell’aeronautica, esibendo una falsa tessera con il grado di "Tenente pilota capo squadriglia intercettatori", completa di foto e dati personali. "Insieme a Stevanin?", gli chiediamo. "Mi pare di sì, sapete è passato del tempo...", risponde Merlin. Che Stevanin frequentasse il posto è confermato non solo dalle parole del gestore, ma anche da uno scontrino fiscale dell’autogrill, sequestrato in casa sua in una delle numerose perquisizioni, dietro al quale aveva appuntato il numero di targa di una Golf Cabrio nera vicentina.

La tappa successiva è il comando provinciale dei carabinieri. Mostriamo agli inquirenti che stanno lentamente ma inesorabilmente incastrando il serial killer le foto di Blazenka tratte dal filmato tv. La conferma è immediata. Sì, la ragazza ritratta appare anche nella collezione di foto di Stevanin. Nulla più. La consegna del segreto istruttorio è rigida. Ma adesso hanno in mano un nome, un’identità. E una sconosciuta in meno da cercare.

E’ di Blazenka Smoljo il cadavere senza nome di Piacenza d’Adige? Tutto farebbe pensare di sì. L’ultimo contatto con la famiglia in Croazia, che è anche l’ultima segnalazione in vita della ragazza, risale alla prima settimana del luglio 1994. Dopo di che il silenzio. Incomprensibile. Ingiustificabile. Visto lo stretto legame che aveva con il figlioletto, Sendy, che vive in Croazia con il padre Walter, con il quale Blazenka aveva mantenuto buoni rapporti anche dopo la separazione. E visto che il 21 luglio sarebbe stato il suo 24° compleanno e che certamente la giovane croata si sarebbe fatta viva con la famiglia, con la quale non mancava mai gli appuntamenti e le ricorrenze importanti. A fine aprile, ad esempio, era rientrata a Pola per il quarto compleanno del figlio. Il cadavere di Piacenza viene ritrovato dallo scavatore Gianfranco Pontara il 31 luglio. L’autopsia dirà che è rimasto in acqua "almeno 20 giorni". Siamo assai prossimi alla data della sparizione di Blazenka. Ma anche altri dati emersi dall’esame autoptico portano in questa direzione. L’età: 24 anni Blazenka, da 25 a 30 anni la sconosciuta, secondo il medico legale. L’altezza: 1.75-1.78 per entrambe. La dentatura non proprio in ordine. La corporatura: magra. E la zona in cui si era stabilita la Smojlo. Entrata in Italia il capodanno del 1994, due giorni dopo aveva telefonato alla madre, che non aveva avvisato della partenza, per dirle che si trovava a 100 km dal confine con la Francia. In giugno era stata ricoverata in ospedale a Desenzano. A fine giugno ha chiesto alla questura di una città del Veneto, frequentata spesso anche da Stevanin, il permesso di soggiorno. Non l’ha mai ritirato. Nel frattempo, nell’ultima chiamata, aveva detto alla madre che sarebbe partita in gita con un francese che aveva conosciuto. Era Stevanin?

Intanto Chi l’ha visto? questa sera cercherà di portare in studio la madre, il figlio o il marito di Blazenka. Dovrebbero lanciare un ultimo disperato appello a Blazenka perché si metta in contatto con loro. A questo punto, però, l’appello dovrebbero forse inoltrarlo a chi in una cella di isolamento del carcere di Montorio continua a restare chiuso in un ostinato silenzio, negando in questo modo, come un estremo oltraggio, perfino il conforto di una tomba alle sue vittime.

Il figlio e la madre di Blazenka sono attesi in Italia anche dagli inquirenti, che li sottoporrebbero a un prelievo di saliva per poter eseguire l’esame del Dna, da paragonare con quello della "sconosciuta" sepolta dall’agosto 1994 nel cimitero maggiore di Padova, accanto a un carabiniere caduto in servizio, nel primo reparto, fila 29, posto 35.

Il viaggio con Simona Ercolani di Chi l’ha visto? sulle piste di Blazenka si è concluso proprio lì, al tramonto, davanti a un tumulo spoglio, con una semplice croce. Senza nomi. Senza fiori. A questi ha provveduto la natura, più pietosa dell’uomo, che vi ha fatto crescere sulla terra qualche sporadica violetta. La certezza di un nome in questo momento la potrebbe dare solo il suo assassino. Se finalmente si decidesse a confessare. Tutto.


UDIENZA DEL 30/12/1997

Si contorce, si dibatte, guizza come un’anguilla impazzita in un catino d’acqua. Si arrabbia con i cronisti "spioni" e non risparmia battute sarcastiche agli avvocati. È un Gianfranco Stevanin assai nervoso quello che prima deve affrontare gli ultimi interrogatori del pubblico ministero Maria Grazia Omboni, che gli contesta il quinto e il sesto degli omicidi volontari di cui è imputato e per sovrappiù anche una violenza carnale vecchia di otto anni e mezzo, e poi i controesami dei legali delle parti civili. Tentano di stanarlo dal bunker dei "non ricordo", delle "rievocazioni di un sogno", dell’"episodio vissuto in terza persona, come se in un film io vedessi una persona, che potrei anche essere io, tagliare a pezzi un cadavere", degli pseudoricordi e delle visioni. Provano ad aggirare il fuoco di sbarramento di un’intera gamma di perifrasi ipotetiche, di ammissioni con l’elastico, di deduzioni, di "presumo", "ritengo", "è possibile", di "se", "forse", "può darsi". Ci prova persino il suo avvocato difensore, Cesare Dal Maso, a provocarlo. "Dici cose assurde", lo sfida. Ma anche per lui Stevanin ha sempre la risposta pronta. 

La replica, più o meno immediata, ce l’ha per quasi tutte le domande. Sembra non rendersi conto che con tante contorsioni come l’anguilla della metafora iniziale sta svuotando progressivamente l’acqua salvifica. Che, al pari di una delle sue vittime, stringe sempre più i nodi con cui si è legato da solo. Solo che invece che alla morte come la povera Biljana, questi lo porteranno dritto dritto a una severa condanna. 

Solamente in un paio di momenti modifica l’atteggiamento di "impassibilità" di cui giunge a vantarsi con l’avvocato Guariente Guarienti. 

Prima quando boccheggia davanti a una serie di domande impreviste dell’avvocato Giampaolo Cazzola, che gli chiede delucidazioni sui pilastri morali della sua vita. Poi quando con Dal Maso mette in scena una specie di psicodramma. L’ultimo tentativo di dimostrare a una Corte d’assise sempre più scettica, la propria follia

A fine udienza il pubblico ministero Maria Grazia Omboni offre il regalo di Natale a Gianfranco Stevanin: cambia i capi di imputazione, ma gli lascia sei omicidi sul groppone. La coscia ripescata nel canale Graizzara a Merlara (Padova) il 12 giugno viene accorpata come da perizia del Dna con il tronco privo di arti e di testa rinvenuto il 3 luglio 1995, che diede avvio a tutte le disgrazie giudiziarie più gravi di Stevanin, ma resta in piedi l’accusa anche per l’omicidio della donna ripresa in una agghiacciante sequenza fotografica. Quattro scatti che si concludono con una orribile mutilazione nella zona genitale. Nella sua affannosa difesa il serial killer, nonostante in una delle inquadrature appaia il suo braccio, riconoscibile per un vistoso braccialetto d’oro, dice di non ricordare assolutamente nulla. "Di tutte le foto ricordo perfettamente quando le ho fatte, con chi e se me le hanno date. Ma questa foto da dove arriva? Io non l’ho fatta. Non ricordo di averla scattata. In base a questo scatto non sono imputabile", conclude, indossando i panni dell’avvocato. Arriva a ipotizzare che l’ultimo scatto sia stato aggiunto mettendolo assieme ad altre foto in cui compare lui. Da chi? Non si sa. Torna ad aleggiare l’ombra del complotto. Non spiega però chi possa essere. Torna a parlare della "studentessa", conosciuta a San Zeno, reincontrata un paio di volte e poi portata nella casa degli orrori. In realtà la casa degli orrori sono poi due, perché tutto il "cruento" (così lo definisce) "incidente" del depezzamento avviene in via Torrano nell’autunno 1994, poche settimane prima dell’arresto, pochi giorni dopo lo strozzamento di Biljana, quando i genitori sono in ospedale per la malattia che porterà alla tomba il padre. Soliti rapporti sessuali, prima in giardino e poi in casa e "alla fine la ragazza era esanime".

Anche stavolta Stevanin dà la sua lezione. Di medicina e di psichiatria. Lei è morta per shock vagale durante una penetrazione troppo intensa. Lui è "dissociato", perché non ricorda nulla, ma vede solo nella mente un altro se stesso - "presume" - che taglia a pezzi il cadavere. Non la testa però. Se non ricorda è perché ha un rifiuto di quanto è successo. "Si vede" vomitare quando con il taglierino recide l’arteria femorale e schizza sangue dappertutto. Siamo in piano "splatter", il cinema horror dagli effettacci più macabri e pacchiani. Per il resto ha solo tre flash. "Rievocazioni di un sogno", che l’hanno portato a condurre gli inquirenti in altrettanti luoghi, in uno dei quali è stata ripescata una coscia disossata. "Ma non sono stato io a togliere l’osso, questa immagine non c’è nella mia mente, nonostante abbia fatto sforzi inimmaginabili per ricordare".

È più il presidente Mario Sannite che il Pm Omboni a condurre le danze. Ma Stevanin dice solo quello che ha deciso di dire, pensando che sia quello che processualmente gli tornerà utile.

Ci prova l’avvocato Guariente Guarienti, primo dei legali di parte civile a gettargli un appiglio mentra si sta autoaffondando. "Le sue sono imputazioni da ergastolo, anche a voler credere alla sua tesi degli incidenti, sono talmente che la pena sarà inevitabile. A questo punto, visto che confessarne uno o più non fa differenza dal punto di vista della pena finale, perché non lascia fare alla madre di Roswita Adlassnig, che lei ha visto qui piangente, il funerale della figlia?". Stevanin rifiuta la collaborazione. "Se non c’è cadavere come può esserci omicidio?"

Anche i giovani avvocati che tutelano i parenti Blazenka Smoljo e Biljana Pavlovic, i fratelli Marco ed Enrico Bastianello, hanno ripetutamente messo in difficoltà Stevanin. Uno lo ha messo di fronte al costante adeguamento delle proprie risposte alle risultanze delle perizie medico-legali, l’altro gli ha prima rinfacciato la rinuncia pretestuosa all’eredità, la furbata della rasatura dei capelli per mettere in evidenza la cicatrice e soprattutto gli ha fatto confessare che alla povera Biljana prima legò le mani e poi infilò in testa il sacchetto che la soffocò. Quale credibilità può avere a questo punto la sua tesi della partner consenziente al gioco sessuale estremo? Anche se avesse detto di no, come avrebbe potuto liberarsi a quel punto, mentre lui le stringeva attorno al collo il cappio che sarebbe divenuto mortale? E quando si trova messo alle strette, incalzato dalle contraddizioni delle varie versioni che gli vengono sbattute in faccia, non trova di meglio per evitare di rispondere che prendersela con il cronista che a suo dire "spia i fogli sul tavolo dei suoi avvocati". Quando è troppo è troppo, signor Stevanin.


ANALISI INVESTIGATIVA: di Gian Guido Zurli

Le vittime:

CLAUDIA PULEJO: 

Cadavere ritrovato sotterrato, 2 Dic. 1995. Nessuna mutilazione particolare.

BILJANA PAVLOVIC: 

Cadavere ritrovato sotterrato, 12 nov. 1995, Numerose mutilazioni ed asportazioni di parti anatomiche

ROSWITA ADLASSING: 

Scomparsa il 8 Mag. 1993, mai ritrovata.

BLAZENKA SMOLJO: 

Cadavere rinvenuto a Piacenza d'Adige il 31/7/94.

Non ancora identificata: 

Tronco rinvenuto in un canale a Terrazzo di Legango (VR) nel luglio 1995. Coscia disossata rinvenuta in un canale di Merlara.

Non ancora identificata: 

La donna ritratta in una serie di negativi sequestrata a casa di Stevanin ed con molte probabilità dceduta in seguito ad una azione omicidiaria.


Profilo psicologico

Lo Stevanin, nato a Montagnana (PD) il 2/10/1960, è uno stupratore feticista, un perverso violentatore. Nel gennaio 1994 sparisce la prima ragazza, l'altra sette mesi dopo. Nel novembre 1994 lo Stevanin viene arrestato per aver aggredito e violentato una prostituta somigliante alle due ragazze scomparse, Gabriella Muster.

Nella sua villa a Terrazzo,  vengono ritrovate delle fotografie porno,  degli indumenti e meccanismi sadomaso,  dei peli pubici femminili in una scatola e i vestiti i gioielli e i documenti delle due ragazze scomparse. Aumenta sempre di più la paura dopo aver ritrovato una carcassa umana nei terreni agricoli di Stevanin;  si attende solo l'esame del DNA per scoprire a chi appartenevano quei resti umani.

Tutti ci poniamo di fondo un’unica domanda: "Chi è veramente Gianfranco Stevanin"? Il più feroce dei serial killer comparsi negli ultimi anni, capace di smembrare in non si sa quanti pezzi i cadaveri delle sue vittime? Un maniaco sessuale che nella ricerca esasperata del piacere è diventato un omicida involontario? Un folle che godeva solo se durante il rapporto sessuale sentiva le partner contorcersi negli spasimi agonici mentre le strangolava? Un uomo malato alle prese con un’altra identità, quasi un emulo di Jekill e Hyde, che sta cercando faticosamente di far emergere i frammenti di memoria, le schegge di follia che hanno attraversato la sua vita e di cui nega l’esistenza, come sostengono i suoi avvocati Daniele Accebbi, Cesare Dal Maso e Lino Roetta? Un minorato mentale, un "tontolone fanfarone" come lo credevano molti conoscenti e compaesani, che nemmeno si rende conto di quello che ha combinato? O una mente diabolica, che cede solo di fronte alle prove inoppugnabili che gli pongono di fronte i carabinieri e il pubblico ministero, ma non ammette nulla di più di quanto gli inquirenti già sanno e ciò che "confessa" lo dice in modo da confondere ancor più le acque? Oppure un narcisista megalomane convinto di essere più scaltro di giudici, avvocati, inquirenti, giornalisti e psichiatri messi insieme, che mena la danza delle rivelazioni come ritiene gli sia più utile? O ancora, il membro di una banda criminale dedita a pratiche sadomaso e alla produzione di orribili filmati in cui vengono riprese gli spasmi di giovani vittime agonizzanti? Una cosa è certa, Stevanin ormai è dentro di noi. E’ il lato oscuro della nostra ricca provincia, che sotto la placida e talora paciosa immagine superficiale nasconde inquietanti tensioni, che di tanto in tanto magmaticamente esplodono.

 

 

 
 
 
 
home last updates contact